LECCE - «A cinque anni dall’inizio della lotta contro la costruzione del gasdotto che parte dall’Azerbaigian e arriva fino alle coste salentine, continuiamo a ribadire la nostra contrarietà all’opera e al ricorso al gas come fonte energetica. Un combustibile fossile che pregiudica gli impegni nella lotta al cambiamento climatico. Senza dimenticare le gravi opacità di un’infrastruttura che conserva discutibili legami con la Russia di Putin». Questa la nota scritta dal movimento "No Tap", da sempre contrario al gasdotto Trans Adriatic Pipeline che dall’Azerbaijan porta metano in Italia approdando sulle coste del Salento. Un gruppo di attivisti ha manifestato questa mattina nei pressi della valvola d’intercettazione del metanodotto a San Foca, marina di Melendugno.
«Era il 17 marzo 2017 quando Tap AG, il consorzio costruttore del gasdotto che parte dall’Azerbaigian e approda nel Salento, iniziò a espiantare decine di ulivi, dopo aver recintato la zona di San Basilio a San Foca, marina di Melendugno (Le) - prosegue la nota -. In quel marzo di cinque anni fa fu immediata la reazione spontanea di migliaia di cittadine e cittadini che accorsero per fermare l’opera e ribadire la propria legittima contrarietà ad un progetto imposto dall’alto. Migliaia di persone che vennero respinte da un cordone di forze dell’ordine schierate a difesa di una multinazionale privata. I governi italiani che si sono succeduti hanno messo in atto un’intensa opera di repressione contro gli attivisti, ignorando volutamente le gravi opacità legate all’opera che pure hanno dato il via ad una intricata vicenda processuale ancora in corso (la prossima udienza a carico dei vertici di Tap indagati per reati ambientali, è fissata, dopo vari rinvii, per luglio 2022 con l’audizione dei testimoni a carico degli imputati). Da allora, in nome di un ideale di giustizia sociale e ambientale, proseguiamo la nostra costante e sistematica campagna di denuncia e contestazione nei confronti di un’infrastruttura inutile, dannosa e anacronistica, basata sullo sfruttamento di una fonte fossile che è tra le principali cause dell’emergenza climatica.
Gli Accordi di Parigi del 2015 hanno sancito la necessità di contenere il riscaldamento globale entro gli 1,5° rispetto all’era preindustrale. Per rispettare tali Accordi, peraltro sottoscritti dall’Unione Europea, quella stessa Unione Europea che ha finanziato il TAP con soldi pubblici, sarebbe necessario dismettere quanto prima tutti gli impianti basati sui combustibili fossili. E cercare delle alternative che non siano soltanto fonti di approvvigionamento di gas diverse dalla Russia».
«Oggi è proprio l’esplosione della crisi russo-ucraina ad aver riportato il Tap al centro del dibattito pubblico. Mentre media e politici definiscono il gasdotto salvifico, perché a loro dire ci renderebbe meno dipendenti dalla Russia, vari elementi sembrerebbero negare questa credenza: Lukoil, colosso russo dell’industria fossile, è infatti il secondo azionista del giacimento di Shah Deniz, quello da cui il Tap prende origine. Ma non solo: Russia e Azerbaigian sono paesi legati da stretti rapporti di partenariato economico, in cui il settore energetico assume una rilevanza tutt’altro che trascurabile. Resosi indipendente dall’Unione Sovietica nel 1991, esattamente come l’Ucraina, l’Azerbaigian è guidato da allora da esponenti della famiglia Aliyev. L’ex Presidente Heydar Aliyev proveniva dagli stessi ambienti dell’ex Kgb e di Putin, elemento chiave per comprendere e condividere gli interessi dei russi che, infatti, non si sono mai opposti all’indipendenza del Paese. In questo quadro si inscrive anche l’accordo tra i due paesi sul Tap, uno dei primi gasdotti a passare al di fuori dal territorio russo e che non potrebbe mai essere realmente concorrenziale rispetto alle infrastrutture dell’ex Unione Sovietica. A testimoniare gli stretti legami tra i due paesi di recente anche l’incontro tra il presidente azero e Putin, avvenuto a Mosca appena poche ore prima dello scoppio del conflitto ucraino e incentrato anche su questioni energetiche. Davanti alla crisi energetica innescata dal conflitto in Ucraina, la classe politica italiana è tornata a parlare di ricorso al carbone, di nucleare, di diversificazione delle fonti di gas e di raddoppio del TAP. Raddoppio per completare il quale, su stessa ammissione del consorzio costruttore, sarebbero necessari almeno quattro anni. Peraltro non ci sono conferme ufficiali sul progetto nei comunicati diffusi dopo la visita in Azerbaigian di Kadri Simson, Commissaria UE all’Energia. Anzi, la Commissione pare addirittura aver escluso il raddoppio dai progetti di interesse comunitario. Sembra emersa solo la possibilità di un’estensione del Corridoio Sud verso nuovi mercati energetici, come i Balcani. Finalmente anche a Bruxelles hanno compreso che l’infrastruttura è tutt’altro che strategica?»
«Le istituzioni europee dovrebbero inoltre tornare ad assumersi dei reali impegni nella lotta al cambiamento climatico: la guerra in Ucraina non può e non deve diventare un pretesto per abbandonare gli accordi internazionali sottoscritti per fermare il riscaldamento globale. L’Agenzia Internazionale per l’Energia, presentando un piano per tagliare le importazioni di gas russo, inserisce tra le condizioni necessarie una maggiore efficienza energetica e l’accelerazione della transizione energetica attraverso l’espansione delle energie rinnovabili. Mentre il phase out dal gas è ancora il grande assente nel PNRR e nel Pniec (Piano Nazionale e Clima), l’obiettivo strategico prioritario dell’Italia non dovrebbe essere affrancarsi solo dal gas russo, ma abbandonare del tutto il gas, accelerando il trend di calo strutturale della domanda in atto dal 2005. Come realizzare questo piano? Attraverso le seguenti azioni: Potenziare le rinnovabili attraverso ricerca, sviluppo e semplificazione delle procedure burocratiche, promuovendo un modello cooperativo, partecipato, diffuso; Mettere in atto programmi di educazione energetica e campagne di sensibilizzazione; Migliorare l’efficienza energetica, specie nel settore industriale; Rendere le abitazioni meno energivore; Ridurre il consumo di gas nei trasporti. Le soluzioni alternative al gas esistono e sono strade percorribili oltre che auspicabili e necessarie per evitare il disastro climatico e crisi geopolitiche che possono assumere risvolti tragici. Ognuno di noi deve essere pronto e pronta a fare la propria parte per una produzione energetica democratica e diffusa. Ognuno di noi deve essere consapevole che è necessario sacrificare un minimo del proprio benessere per ridistribuirlo equamente. In queste settimane più che mai il futuro è nelle nostre mani».