Ventuno anni fa Foggia si risvegliò come non le era mai accaduto dai tempi della seconda guerra mondiale e delle penose conte dei morti dopo i bombardamenti aerei. Un palazzo caduto giù nel cuore della notte, in viale Giotto: 67 morti ed un dolore emotivo che ha segnato per sempre i foggiani che hanno vissuto quel trauma cumulativo.
Una frattura della convivenza, uno strappo esistenziale che viene rinnovato a distanza di ventuno anni dalle amministrazioni municipali, dall’associazione dei parenti, dai volontari e dai cittadini consapevoli di aver vissuto una tragedia collettiva. La rievocazione di oggi è condizionata anche dalle prescrizioni covid che non limitano tuttavia il pensiero per quei concittadini strappati alla vita in quel drammatico 1999.
Fu una esperienza percepita senza alcuna distinzione, riconoscibile per i “maker” somatici che individuarono in ciascun foggiano un segno di angoscia, amarezza, inquietudine, solidarietà in quell’atmosfera scioccante che per diversi giorni avvolse Foggia.
La città, va detto, riuscì come non mai a superare il collasso psichico per costruire, in quel momento, un mondo di significati, con una capacità mai vista prima di sapere narrare sè a se stessa oltre che agli altri, in quell’assemblaggio di identità che trasformò Foggia in comunità. Lo testimoniò direttamente e a distanza il compianto presidente della Repubblica, Carlo Azelio Ciampi, più volte a Foggia durante quei giorni drammatici. E lo fece anche la “Gazzetta”, nell’unica edizione straordinaria dei suoi 133 anni di storia, a testimonianza di una attenzione e sensibilità verso la tragedia foggiana.
Le verità processuali (che pure ci sono state) e quelle storiche, non hanno messo fine alla ricerca di giustizia ed ancora oggi, nonostante il transitare di quella vicenda tra passato e presente, ci si chiede come è possibile che sia successo. Eppure è accaduto.