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Sono io la Regina del mare

Pace, tranquillità e bellezze natutali sotto lo sguardo del Cristo Redentore

Giovanna Laguardia

26 Settembre 2018

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Il verde della macchia mediterranea che dalle ripide falesie si affaccia direttamente nel blu del mare, il rosso dei tramonti. Con una simile tavolozza la città di Maratea non poteva che diventare la perla delle mete turistiche marinare della Basilicata. Che il suo nome derivi da Maris dea, dea del mare, come voleva qualche romantico degli anni ‘60 o, più prosaicamente da Marathia, terra dei finocchi, la tesi più accreditata, sostenuta tra gli altri dallo storico Giacomo Racioppi, Maratea può a buon diritto essere considerata la regina delle vacanze lucane. Negli anni ‘60 e ‘70, il conte Stefano Rivetti di Valcervo, discussa figura di imprenditore di origini biellesi, la lanciò come fulcro della movida “made in Sud”, portando sui palcoscenici della piazzetta del Gesù, in contrada Fiumicello, o al porto, le più importanti star dell’epoca, come Domenico Modugno, Ornella Vanoni ed Anita Ekberg. A Rivetti si deve la costruzione della celeberrima statua del Cristo redentore, affidata allo scultore Bruno Innocenti, che, come quella di Rio de Janeiro, dà le spalle al mare, ma anche diversi fallimenti industriali nell’area.

Oggi Maratea appare lontana dalle frenesie di quell’epoca. È una città balneare meta soprattutto di un turismo desideroso soprattutto di pace, di tranquillità e di bellezze naturali. Proprio il verde e la natura, che le amministrazioni succedutesi nel corso dei decenni hanno saputo conservare in maniera esemplare, impedendo quella lottizzazione selvaggia che ha snaturato altre rinomate località del golfo di Policastro, sono il vero tesoro di Maratea. Trentadue chilometri di costa, tra la frazione di Acquafredda, che confina con Sapri, in Campania, e quella di Castrocucco, divisa dalla calabrese Tortora solo dal fiume Noce, costituita da insenature, grotte, scogli, secche e spiagge per lo più ciottolose. Molte di queste ultime non sono naturali, ma si sono formate tra le falesie con un piccolo aiuto dell’uomo, dopo il 1894, grazie all’apporto dei materiali di risulta della costruzione della ferrovia. I fondali marini rocciosi sono una vera manna per gli appassionati di snorkeling o di diving, mentre in alcuni punti della costa si può ancora provare l’emozione di fare il bagno restando all’ombra, come le antiche dame, grazie ai “licini” i boschi di leccio che dalle rocce sovrastanti proiettano la loro ombra direttamente in acqua. Maratea, però, non è solo turismo balneare. E’ anche una città particolarmente ricca di storia e di cultura, oltre che di tradizioni religiose, con le sue 44 chiese. Singolare il caso dei due centri storici: il primo, il più antico detto Castello, sorto ai piedi del monastero di San Biagio già prima del 1079, affacciato sul mare e perciò esposto alle scorrerie dei pirati, caduto in rovina e lungamente abbandonato (ma oggi in via di recupero), e il secondo, detto Borgo, divenuto poi il centro storico della città, nato in epoca successiva sull’altro versante della montagna, nascosto alla vista dal mare, ma destinato a causa della sua posizione geografica, a rimanere in ombra per buona parte dei mesi invernali (si dice fino al giorno di San Biagio, protettore della città, il 2 febbraio).

L’altra faccia del turismo di mare, in Basilicata è il Metapontino, dove spiagge e archeologia vanno a braccetto. Trentacinque chilometri, da Metaponto a Nova Siri, passando per Scanzano Jonico, Policoro, Rotondella. Qui il paesaggio è completamente diverso da quello di Maratea, ma altrettanto intrigante: chilometri di sabbia finissima, di dune e di pinete (purtroppo minacciate dall’erosione del mare). Ma la vera magia è un tuffo nella Storia: la due passi dall’azzurro del mare le antiche vestigia della Magna Grecia rivivono nelle aree archeologiche di Metaponto e Policoro, nel tempio extraurbano di Hera del tardo VI secolo a.C., meglio conosciuto col nome di Tavole Palatine, nel Museo Nazionale del Metapontino e in quello della Siritide di Policoro.

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