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Narratori lucani, focolare e magia

L'abbandono e il mondo sospeso sono i "topos" letterari lucani

Enrica Simonetti

26 Settembre 2018

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Mondi sospesi, paesi incantati. Se volessimo cercare un filo comune nella narrativa lucana, forse lo troveremmo nella straordinaria potenza evocativa dell’indefinito: una sorta di narrazione la cui geografia resta appesa all’immaginario. Un reale/irreale che permea le tante pagine dedicate alla Basilicata o scritte quaggiù, nel regno della Bellezza e della magia.

 Guardare le figure dipinte da Carlo Levi in quella enorme tela dal titolo “Lucania ‘61” - che divenne il manifesto del centenario dell’Unità d’Italia visto da Sud - significa addentrarsi in quell’universo che i narratori lucani hanno da sempre descritto. Partiamo dal dipinto per arrivare alle pagine, perché questa opera straordinariamente interessante (che si trova a Palazzo Lanfranchi a Matera) sembra la sintesi delle narrazioni letterarie che prima e dopo di esso sono venute. Eccoci davanti al quadro, eccoci di fronte a quella marea di figure e di colori che rappresentano persone, idee, identità lucane. C’è il volto di Rocco Scotellaro bambino a sintetizzare quel «naif» della vita lucana, ma anche lo Scotellaro morto che forse impersona l›icona del dolore. Ecco il poeta nei panni di politico impegnato nelle piazze, metafora della voglia di impegno che si prova in questa terra. E poi, ecco le raffigurazioni di Giuseppe Zanardelli, Francesco Saverio Nitti, Giustino Fortunato, Guido Dorso; ecco le scene della vita agricola e del lavoro domestico, le donne con i fazzoletti in testa e i tanti bambini in fasce, i muli, le capre, le montagne color argilla e le campagne deserte. 

Si guarda questo dipinto e si guarda una regione accecata dal sole. Ebbene, la sua letteratura somiglia molto a «Lucania ‹61», perché narra persone e luoghi, terre bruciate da un sole caldo e baciate da una miriade di colori. Un luogo e un non-luogo, come lo ha sognato Giuseppe Lupo (nato ad Atella) nel suo «Atlante immaginario» o come lo ha cantato Leonardo Sinisgalli (nato a Montemurro) nelle sue liriche «fiorite». 

Quando uscì negli anni Sessanta la famosa antologia «Narratori di Puglia e Basilicata» (Mursia) firmata da Paolo Sansone, molti nuovi narratori che hanno declamato la Lucania non erano noti al grande pubblico. Eppure tutto parte da lontano, da quegli echi di scritture autentiche, che hanno lanciato le basi delle narrazioni presenti e future. Impossibile citare tutti, ma da Raffaele Nigro con la sua scrittura «antropologica», capace di delineare luoghi e anime, paesaggi e identità fino al succitato Lupo e al pluripremiato Gaetano Cappelli, c’è tutto un panorama letterario d›incanto. E a proposito di Cappelli, va detto che proprio ora torna di scena una delle sue prime opere, «Floppy disk”, uscito per la prima volta nel 1988, storia di spie e trafficanti di armi, di trame micidiali e di affascinanti superdonne, ma soprattutto la storia di un giovane senza un lavoro, che si aggira spaesato nella Roma degli anni Ottanta, inseguendo un proprio sogno di svagata trascuratezza e indolente far nulla. La trama racconta come il protagonista, accettando di fare un favore a un amico, si trova a consegnare un misterioso floppy disk a una donna, bellissima e spregiudicata, abilmente e cinicamente immersa in intrighi internazionali. Un destino fatale, una serie di coincidenze e contrattempi gli impongono un’avventura che non vorrebbe. E così “Floppy disk” (oggi, nell’era dei dischetti che non esistono più e sono stati sostituiti dai “file”) è a metà fra il thriller, la spy-story e il romanzo di formazione. Dopo aver letto questo romanzo, il critico Giovanni Pacchiano definì Gaetano Cappelli “il nostro piccolo Chandler” e tutto ciò che ha scritto dopo quel romanzo non fa che confermarlo.

Spesso i narratori lucani si soffermano sul concetto di «casa» e di paese. Prendiamo “L’albero di stanze” di Giuseppe Lupo, che è la grande impalcatura di storie in cui lo scrittore immette con la sua fantasia l’idea di un ritorno a Itaca, quello del medico trasferito a Parigi ma pronto a sentire sulla pelle i brividi dell’emozione dell’epopea familiare, il sapore di una sorta di “madeleine” proustiana del ricordo. Due scrittrici tra i tanti nomi: Dora Albanese e la sua “Scordanza” e Carmen Pellegrino il cui interesse per i borghi abbandonati ha fatto “atterrare” in Basilicata. Altro scrittore lucano, altro “focolare paesano”: leggiamo Mimmo Sammartino nel suo “Il paese dei segreti addii”, con la bellissima storia dell’inquietudine nata all’improvviso tra le neve di Pietrafiorita, paesello montanaro che sa di mistero e di famiglia, di distese naturali a perdita d’occhio ma anche di minuscola comunità. 

E non è il focolare domestico il protagonista del romanzo di Giuseppe Catozzella “E tu splendi”? Non lo è il paese di Arigliana, al centro del libro, “cinquanta case di pietra e duecento abitanti”, il paesino sulle montagne della Lucania dove Pietro e Nina trascorrono le vacanze con i nonni? La storia si avvolge attorno al torrente svuotato e alla torre normanna del paese al cui interno viene scoperto il nascondiglio di una famiglia di stranieri. Ancora una casa, nella casa. E poi la rabbia e la paura, i sentimenti ancestrali che si vivono all’interno delle mura. E, dopo ancora, il coraggio e lo splendore, quei sentimenti che Catozzella ben descrive, rispecchiando anch’egli i topos della società lucana, solo apparentemente chiusa in se stessa, solo apparentemente distante dal mondo reale. 

Ombre e luci, passato e futuro: qui c’è tutto quello che magicamente ci narra Raffaele Nigro da decenni, quei tanti “fuochi del Basento” che da sempre hanno acceso la memoria e il fascino della letteratura lucana.

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