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Colombo leader "glocale"

Europeista convinto, contribuisce a dotare la sua terra di infrastrutture essenziali

Giuseppe De Tomaso

25 Settembre 2018

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Uno è la Puglia. L’altro, la Basilicata. I gemelli del Sud della Democrazia Cristiana segnano, anzi monopolizzano, per decenni la vita, non solo politica, delle loro rispettive regioni. Aldo Moro (1916-1978) è il paziente pony pugliese, secondo la definizione di Carlo Donat-Cattin (1919-1991). Emilio Colombo (1920-2013) è il raffinato e cortese dandy lucano, secondo il ritratto ad opera di Henry Kissinger.

 Colombo è un ragazzo prodigio della politica. A soli 26 anni, nel 1946, debutta sul proscenio nazionale, facendo parte dell’Assemblea Costituente. Un successone la sua campagna elettorale. «Ma cosa vuole quel sagranestello...», lo apostrofa l’economista Francesco Saverio Nitti (1868-1953), già presidente del Consiglio (1919-1920), tra un comizio e l’altro nei paesini potentini. Ma Colombo sa quello che vuole e lo dimostra: 21mila voti di preferenza. Un bottino ben superiore al raccolto ottenuto dal Gran Laico di Basilicata.

 È l’inizio di una carriera irresistibile che lo porterà a ricoprire la massima carica di governo in Italia (presidenza del Consiglio) e la massima carica istituzionale in Europa (tre volte alla presidenza del Parlamento). Un cursus honorum che non si distaccherà mai dalla regione di provenienza: il che farà di Colombo, insieme con Moro, il primo leader «glocale» della Repubblica.

 Colombo e Moro non sono due gocce d’acqua. Divergono per stile di vita e appartenenza di corrente. Ma sono due fuoriclasse che convivono, tra alti e bassi, nel partito già impostato da Alcide De Gasperi (1881-1954).

Colombo inanella una serie interminabile di caselle ministeriali, ma è al Tesoro che dà il meglio di sé, trasformandosi in un big di statura internazionale. È il primo, agli albori del centrosinistra, a mettere tutti in guardia dal rischio di una fuga in avanti del debito pubblico (allora di proporzioni lillipuziane rispetto ai livelli odierni). Lui ministro, gli italiani scoprono il termine «congiuntura», così di moda in quegli anni da suggerire il titolo di un film.

 Colombo fa quello che può per proteggere il fortino dell’economia dall’assedio di postulanti più o meno in buona fede. Uno fra i più insistenti è Giorgio La Pira (1904-1977), sindaco di Firenze. Racconta Colombo: «La Pira veniva da me per chiedere fondi. Mi sussurrava: Colombino, Colombino mio, lo sai che il Bilancio è una congettura...». È difficile resistere al pressing del sindaco santo. Colombo gli fa notare che il Bilancio può essere una congettura, perché prevede entrate e spese su valori non acquisiti, ma poi bisogna scrivere cifre realistiche, non bisogna promettere soldi falsi. Ma, si sa, La Pira è La Pira. È più semplice dire no al Papa che al candido primo cittadino fiorentino.

Colombo è la Basilicata, che lui fa conoscere al mondo intero. Colombo è la Basilicata, che lui dota di infastrutture essenziali (dalla superstrada detta Basentana all’Ospedale San Carlo di Potenza, dagli investimenti finanziati dalla Cassa per il Mezzogiorno alla creazione dell’Università, dai buoni uffìci con la famiglia Agnelli per gli investimenti Fiat e Magneti Marelli in Lucania alle relazioni con i Lucchini e i Ferrero per iniziative analoghe in loco). Ma Colombo è anche o soprattutto l’Europa.

 Di sicuro è lui il più europeista tra gli europeisti. Anche la sua fedeltà all’Occidente è a prova di bomba. Idem il suo atlantismo. Lo statista lucano cerca in tutti i modi di convincere i governanti francesi ad abbandonare le loro nostalgie napoleoniche per sposare lo spirito comunitario di un loro connazionale come Jean Monnet (1888-1979). Ma Charles De Gaulle (1890-1970) da questo orecchio non sente. E inaugura, il Generale, la politica della «sedia vuota» (quella francese). Chissà cosa direbbe Don Emilio oggi di fronte all’esplosione del sovranismo anti-comunitario. Forse suggerirebbe di chiamare a raccolta tutti gli amici dell’Europa per dar vita a un fronte repubblicano in difesa dell’Unione.

Ministro a 28 anni (Agricoltura), Colombo avrebbe collezionato più primati del velocista Usain Bolt se non si fosse imbattuto nella sagoma inconfondibile del suo amico rivale Giulio Andreotti (1919-2013), mentre il contraltare di Moro in casa dc è Amintore Fanfani (1908-1999). I due - Colombo e Andreotti - fanno persino un tratto di cammino insieme, allorché danno vita al gruppo di «Impegno democratico», una sorta di alternativa post-dorotea al collaudato correntone doroteo. Poi il divorzio. La gens andreottiana è più famelica di una comitiva di leonesse. Colombo cambia aria.

 Colombo? Pur non avendo mai fatto il segretario della Dc, Colombo era ed è la quintessenza della democristianità. Mai sopra le righe, grande dosatore di eufemismi e perifrasi. Il suo moderatismo è scritto nel nome, osserva lo scrittore lucano Camillo Langone. Per tutti, per amici e nemici di Basilicata, Don Emilio è il Presidente per antonomasia. Per una grande penna come Raffaele Nigro, lui è il Governatore, ben prima che questa investitura fosse attribuita a casaccio per i capi delle giunte regionali.

Quando nel gennaio 2003, il presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi (1920-2016) comunica di aver nominato senatore a vita l’uomo più importante di Basilicata, qualcuno si chiede: «Ma Colombo non lo era già senatore a vita?». Infatti. Immaginare un Colombo fuori dalla politica attiva è ritenuto un controsenso, un fatto inverosimile.

Don Emilio opta per il centrosinistra e sposta in questa direzione tutti gli equilibri politici della regione. Un’ipoteca per le future competizioni elettorali, non a caso vinte tutte dalla «sua» coalizione.

Il suo tramonto non è quello che avrebbe voluto. Coinvolto in un’inchiesta di droga, Colombo ne esce indenne. Ammette, però, di averne fatto uso personale «per ragioni terapeutiche», ma sente il dovere di chiedere scusa al Paese.

 Lo scorso giugno, sia pure tra mille polemiche, l’amministrazione comunale di Potenza gli intitola una via cittadina, una via che collega una delle zone della città con l’ospedale San Carlo e il campus di Macchia Romana dell’Università di Basilicata, due realizzazioni volute dal Presidentissimo lucano.

 Il minimo per un personaggio, per un servitore dello Stato, che ha servito innanzitutto la sua terra.

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