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Quella fratellanza piena di malinconia

 
Silvio Perrella

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Silvio Perrella

Sedersi a guardare tra passi e soprabiti

In una città annegata nell'indifferenza dei molti avveniva un passaggio di cellule

Giovedì 15 Giugno 2023, 10:04

L’occhio del fenicottero è perso nel vuoto: la sua iride giallina, la pupilla nera come la notte bucano la candida testolina flessuosa che termina in un becco rosa elegantissimo ma girato all’ingiù.
Le lunghissime zampe sono piegate in obliquo, accanto al resto del corpo rimpannucciato di bianco e di arancione, e fanno da controcanto al collo che esce dal dorso e sale verso l’infinito.
Il signor Acciuga guarda quello strano fagotto metafisico e sente subito una fratellanza senza nome, che salta gli steccati, che mette gli individui gli uni accanto agli altri nell’inermità di ognuno e nei guizzi di energia che fanno fremere i corpi e li rimettono in funzione. Sia lui sia il fenicottero sono sulla stessa panchina.
Il signor Acciuga si è fermato proprio lì perché ha scorto il piumaggio malinconico e arruffato del fenicottero e ha cercato di capire cosa gli stesse succedendo.
Perché se ne stava solo solo rannicchiato su una panchina bisognosa di manutenzione in una città scartavetrata e franta?
All’inizio sembrava che stesse dormendo, cercando di recuperare forza vitale dopo aver lottato con la tempesta; ma l’occhio era aperto, scrutante, sebbene fosse difficile capire cosa guardasse; forse il becco, forse le zampe, forse semplicemente il vuoto.
Così appallottolato era difficile capire con esattezza quale creatura fosse; ma era bastato poco al signor Acciuga per capire che si trattava di un fenicottero.
Sulla panchina c’era un piccolo posto per potersi sedere e la magrezza del signor Acciuga si era accomodata in quei pochi centimetri quadrati con l’agio di chi si sa sempre in transito e dal poco sa ricavare l’essenziale per sopravvivere.
Standogli vicino si capiva che il fenicottero respirava a fatica; non che avesse dei veri problemi respiratori, ma era come l’aria facesse fatica a percorrere tutto il suo corpo e si perdesse lungo le giunture delle zampe o nelle curvature del collo e del becco.
Se solo avesse voluto, sarebbe bastato un allungamento generale di tutto il corpo e il respiro sarebbe tornato a fluire; ma ogni sua penna era impregnata di malinconia, come se non capisse più in quale mondo gli fosse capitato di abitare e avesse anche smarrito la necessità di possedere un corpo così particolare e fragile, abitato da una bellezza sbilenca.
Standogli accanto a contatto di piume, il signor Acciuga intuiva che il fenicottero stava meditando sulla necessità di mettersi in viaggio; di andare in qualche altrove a lui sconosciuto; non perché l’avesse scritto nel Dna come altri pennuti, ma per nuova e stordita necessità, per sospingimento di un vento sino allora tenuto a bada e che adesso chiedeva cieca avventura.
Quell’occhio giallino con la pupilla piccola come una capocchia di spillo cercava itinerari e allo stesso tempo si rinchiudeva in se stesso, perlustando la fatica di esistere, il peso improvviso di un corpo forgiato nella leggerezza aerea e magra degli esseri lunghi e slanciati.
Era intorno a questa magrezza che andava formulandosi un patto silenzioso tra il signor Acciuga e il fenicottero; si stabiliva tra loro un affratellamento che mescolava le reciproche malinconie.
Senza nomi, in assenza di parole, solo in un mescolio di piume e di squame, di irregolarità e stranezze, di forme biologiche anfibie, difficili da definire ma ben visibili, evidenti, palmari, luccicanti di rosa di bianco di grigi, si formava tra il signor Acciuga e il fenicottero un terreno comune, uno scoscendere l’uno nell’altro.
Nella loro vicinanza, nello stare seduti su una stessa malconcia panchina in una città annegata nell’indifferenza dei molti, avveniva un passaggio di cellule, uno smottamento da squame a piume, una traduzione non codificata sino ad allora.
Ecco, il dono che il signor Acciuga sta per fare al suo nuovo amico consiste in una squama che gli consentirà di districare le curve del suo corpo e di mettersi in posizione eretta sorretto dai grattacieli delle sue zampe rosate e modulato dall’ondosità bianca del collo.
Adesso il fenicottero è alto sul bordo della panchina, pronto a migrare, a cercare se stesso nell’altrove, il suo occhio è attentissimo.

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Silvio Perrella

La Panchina

Biografia:

La meridiana, detta anche, impropriamente, orologio solare o quadrante solare, è uno strumento di misurazione del tempo basato sul rilevamento della posizione del Sole. Attraverso le parole di Silvio Perrella facciamo un viaggio nel tempo nei luoghi del cuore che profumano di Meridione e Sud.

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