Dopo aver appreso con un certo sconcerto della Venere degli stracci di Pistoletto arsa nella pubblica piazza di Napoli, data al rogo come moderna Giovanna d’Arco, non ho potuto che partire da qui.
Per qualche ora si è ipotizzato fosse stata opera di giovani annoiati o di fragili adolescenti di argilla, manipolabili come marionette nelle mani dei social che sfidano le regole con competizioni che fanno leva sull’evidente senso di vuoto.
Nelle ultime ore a quanto pare questa versione è stata smentita, ma ciò nonostante avere immaginato questa ipotesi come plausibile, fa pensare al ruolo che l’arte ha nella scuola, ruolo da Cenerentola non sempre in grado di arginare l’ignoranza dilagante delle menti annebbiate dei nostri giovani o giovanissimi, e per quanto possa restare aggrappata all’idea romantica di una scuola capace di dare gli strumenti per divenire cittadini consapevoli, è indubbio che in questi anni si stia assistendo ad una deriva che inquieta, lascia muti e, qualche volta, faccia sentire persino spalle al muro.
Insegno Storia dell’Arte e più volte mi è capitato di dover rispondere alla domanda: - a che serve l’arte? - A che serve per la vita dopo la scuola. Messo persino nero su bianco anche nel compito di italiano di quest’ultimo Esame di Stato appena concluso, in cui un candidato, commentando la lettera al ministro Bianchi e facendo riferimento alla necessità di una scuola rinnovata, teorizza la necessità di “epurare” la scuola dalle inutilità, le discipline che ne fanno parte non sono chiaramente menzionate ma quelle necessarie sì: inglese ed economia.
Ciò basta, il resto serve a poco.
Bisognerebbe insegnare con più ardore a questi ragazzi che l’arte non è cosa da poco, né passatempo ludico. L’arte ha da sempre valore politico, è il termometro dell’umanità in divenire, traduce un sentimento collettivo di cui non sempre siamo consci e che la bellezza è un valore che non ha nulla a che fare con quella promossa dalle influencer in costume da bagno. Ma questo è un processo che si impara e si allena tra i banchi di scuola, così come il pensiero, se c’è una scuola che funziona.
Qualche giorno fa mio figlio guardandomi davanti al monitor del computer mi ha detto: - mamma come fai a scrivere di scuola…adesso che la scuola è finita? - La risposta è nell’animata discussione sotto l’ombrellone con le mie amiche, in questi primi giorni di vacanze al mare, perché la scuola c’è sempre, anche quando non c’è, anche quando è in pausa e ciò di cui si dibatte ha origine dalla stessa domanda, ovvero quanto i docenti siano capaci di interessare e affascinare.
Di racconti in questi anni ne ho ascoltati tanti, sarebbe stupido da parte mia far finta che non esistano stuoli di ragazzi delusi che non hanno trovato nulla o quasi di quanto stessero cercando. La scuola vista come un dovere, una gabbia, a volte persino un patibolo.
Vado a scuola ogni mattina come un kamikaze, consapevole di dover trascorrere seduto, composto, sei ore di noia in cui dovrò inventarmi qualcosa per non sbadigliare troppo, per guardare negli occhi i professori fingendo l’interesse che non ho, mentre la mia mente vagabonda altrove, ridestata dal leggero trillo dell’orologio che porto al polso e che scandisce le ore che passano lente…sperando solo che passi presto.
Anche questa è la scuola, lo so!
Non siamo sempre stati capaci di restare al passo, di trovare linguaggi nuovi, di creare legami, di incentivare scambi, eppure è ciò di cui hanno bisogno, lo dimostrano i tanti ragazzi adoranti verso quei pochi che utilizzando gli stessi loro mezzi, che sono stati capaci di conquistare, avvicinare e sedurre.
Ciò che manca è infatti il gioco della seduzione. L’arte è seduttiva, lo è la fisica, persino può diventarlo la matematica, a fare la differenza saranno come sempre le parole.
Nel frattempo concordo alla proposta di lutto cittadino, menzionata durante un’intervista ad uno dei tanti napoletani, che fiori in mano, è andato davanti a ciò che resta della Vergine per portarle omaggio, a lasciare un segno, a gridare che la città è anche altro.
La Vergine degli stracci per volontà della cittadinanza e dell’artista, risorgerà come la Fenice dalle sue ceneri, ciò che preoccupa è piuttosto lo strato polveroso con la quale abbiamo assopito le generazioni che verranno. Come letto qualche tempo fa sul manifesto stropicciato dalla pioggia e dal tempo nel quartiere Trastevere a Roma: a volte ci vorrebbe un miracolo!