BARI - A dire il vero il motto recitava “a Bari nessuno è straniero, nemmeno Guerrero”. Con Mateo Retegui il motto è cacofonico, ma con la doppia cittadinanza lui, a differenza di Guerrero, giocatore del Bari degli anni 90 e inventore dell’esultanza del trenino dopo il gol, davvero non è straniero.
Nella nazionale priva di attaccanti e senza giovani Del Piero, Vieri, Totti o Baggio, per la qualificazione ai prossimi europei il tecnico Mancini come si dice al sud è “andato a ricorrere”: e pur di avere un attaccante di razza ha chiesto a Mateo Retegui, ventitreenne nato in Argentina da genitori argentini, un nonno di Canicattì che gli ha lasciato in eredità la cittadinanza italiana, di giocare per la nostra nazionale. Nulla contro gli oriundi, anzi, lo ribadiamo: a Bari e in Italia nessuno è straniero.
Mateo Retegui non parla italiano, non sappiamo se sia mai stato in Italia prima della convocazione di Mancini, non conosce i Maneskin, Gianni Morandi e Diletta Leotta (conosce Belen Rodriguez ma non vale perché è argentina) e con i piedi è davvero bravo. Valentino Oniero Agunu, 35 anni, nato a Roma da genitori nigeriani, non ha i piedi come Retegui, non è un calciatore, è laureato, e conosce secondo me sia Diletta Leotta che Belen Rodriguez; appena compiuti i 18 anni, Valentino ha per legge potuto iniziare l’iter per ottenere la cittadinanza italiana. Sono passati 17 anni, Godot è all’orizzonte, ma Valentino la cittadinanza la sta ancora aspettando.
La scena del film “Quo Vado” nella quale Checco Zalone accoglie a Lampedusa un immigrato dai piedi buoni lasciando fuori i laureati che non giocano a calcio, fa molto ridere e fotografa una realtà tutta italiana. Luca Medici è laureato in giurisprudenza e forse la legge n. 91 del 1992 l’aveva già incontrata anche lui durante gli studi. I ragazzi nati in Italia da genitori stranieri sono oltre 1 milione (dati del 2020), di questi solo 228 mila hanno acquisito la cittadinanza italiana. Trecentomila minorenni arrivati nel Paese dopo la nascita, solo un quinto risulta naturalizzato Italiano.
Per tutti gli altri c’è una sola strada: la legge n. 91 del 1992. Chi è nato in Italia potrà richiedere la cittadinanza se ha risieduto legalmente e ininterrottamente nel Paese fino al compimento dei 18 anni; chi, invece, è arrivato in un momento successivo dovrà fare richiesta dimostrando di aver vissuto qui per almeno 10 anni. Per loro la strada possiamo definirla la Bari-Napoli, tutta ancora in costruzione e slittata ancora una volta al 2027. Se sei un calciatore invece, ma hai un nonno della zia della nonna del prozio di tuo cugino Javier, hai davanti una autostrada tedesca a quattro corsie e senza limiti di velocità. Se poi il test di italiano è come quello di Luis Suarez, attaccante vicinissimo alla Juventus pochi anni fa, ca va sans dire.
Ai diciottenni figli di immigrati che parlano napoletano, romano, veneto, milanese e barese da quando sono nati, chiediamo di dimostrare un reddito non inferiore a 8300 euro annui nei tre anni precedenti alla domanda. Quanti diciottenni in Italia conosciamo capaci di un reddito simile? In Italia a quell’età al massimo puoi dichiarare una rendita da account Netflix condiviso.
Permettiamo, dunque, a chi è stato formato a spese del nostro stato durante pubertà e adolescenza, a chi è giunto finalmente all’età per poter lavorare e restituire quell’investimento dello stato creando reddito in Italia, di fuggire all’estero perché impossibilitato ad avere la cittadinanza italiana; ma diamo milioni di euro e la cittadinanza a calciatori che non parlano italiano e non hanno mai messo piede in Italia. E soprattutto non conoscono Gianni Morandi.
Ma vuoi mettere che gol!