BARI - Alle prime luci dell’alba, a Bari, la Squadra Mobile della Questura di Bari, con l’ausilio di equipaggi del Reparto Prevenzione Crimine e del Compartimento della Polizia Stradale “Puglia”, hanno eseguito la misura cautelare dell’obbligo di dimora nel Comune di Bari con l’ulteriore prescrizione della permanenza in casa – dalle ore 20 alle ore 7 – e della presentazione alla Polizia giudiziaria, emessa dal Giudice per le Indagini Preliminari presso il Tribunale di Bari, su richiesta della Direzione Distrettuale Antimafia, nei confronti di undici soggetti, ritenuti responsabili, in concorso tra loro, del reato di blocco stradale, attuato in occasione del corteo funebre non autorizzato, per il funerale di Christian Di Gioia, deceduto a causa di un incidente stradale, lo scorso giugno.
La mattina dello scorso 24 giugno, nel quartiere Japigia, un centinaio di persone, a bordo di numerosissimi motocicli, dopo la celebrazione alla parrocchia della Resurrezione, del rito funebre per la morte del giovane, inscenò un corteo non autorizzato al seguito del feretro, sino al locale cimitero.
Durante il percorso, alcuni dei promotori e dei partecipanti al corteo, oltre a rendersi responsabili di minacce nei confronti dell’autista del mezzo funebre, bloccarono le principali strade interessate, transitando in contromano, nei pressi delle mura perimetrali della casa Circondariale di Bari, rendendosi responsabili del reato di blocco stradale, costringendo gli ignari utenti della strada a fermarsi ed attendere il transito del carro funebre. Una condotta che tanto clamore mediatico destò all’epoca dei fatti.
Nei giorni immediatamente successivi, gli investigatori della Squadra Mobile di Bari sono riusciti, dopo la visione di numerose ore di registrazione dei filmati delle telecamere di video sorveglianza della città, a ricostruire compiutamente l’intero percorso interessato dai motocicli e ad identificare tutti gli autori del reato. Nel corso dell’operazione, che ha visto la collaborazione anche di Unità Cinofile e di un elicottero del Reparto Volo di Bari, sono state eseguite mirate perquisizioni domiciliari e i sequestri dei motoveicoli utilizzati per il blocco stradale, per i quali verrà richiesta la confisca.
«Ciò che è accaduto il 24 giugno scorso è un fatto particolarmente grave che ha segnato un arretramento della comunità barese. Quel corteo è stato uno spartiacque, da allora la Questura prenderà prescrizioni per tutti gli episodi analoghi, come già successo». Lo ha detto il Questore di Bari, Giovanni Signer, in relazione alle misure cautelari eseguite oggi dalla polizia nei confronti delle 11 persone ritenute apripista del corteo funebre di moto che, in estate, ha accompagnato il feretro del 27enne Christian Di Gioia dal quartiere Japigia al cimitero di Bari, passando anche contromano sotto il carcere.
LE PAROLE DEL GIP
Il corteo funebre di moto che, lo scorso 24 giugno, ha accompagnato il feretro di Christian Di Gioia dalla chiesa della Resurrezione al cimitero di Bari è stato «un gravissimo atto di sfida alla comunità e di spregio nei confronti delle regole» della convivenza civile, «un vero e proprio schiaffo alle istituzioni e alla città, per qualche ora in balia di soggetti sospinti da un infondato senso di impunità». A scriverlo è il gip di Bari Nicola Bonante, nell’ordinanza con cui ha disposto nei confronti di 11 persone, accusate di blocco stradale e ritenute «apripista» del corteo, la misura dell’obbligo di dimora nel comune di Bari, con gli ulteriori obblighi di presentazione quotidiana alla polizia giudiziaria e di permanenza in casa dalle 20 alle 7. La Dda aveva chiesto il carcere per due degli indagati e i domiciliari per gli altri nove, oltre al riconoscimento dell’aggravante dell’agevolazione al clan mafioso Parisi-Palermiti del quartiere Japigia.
Il giudice ha invece deciso diversamente, non riconoscendo l’aggravante. Il gip ha però definito le persone coinvolte nel corteo "soggetti certamente privi di qualsivoglia senso civico, inseriti in un contesto di degrado sociale e culturale» e soliti alla «perpetrazione di atti di prepotenza verso il prossimo».
I loro comportamenti sarebbero riconducibili a un «malcostume diffuso in una fascia fortunatamente ridotta della popolazione, che fa del simbolismo criminale una filosofia di vita». L'aggravante non è tuttavia stata riconosciuta perché «non risulta affatto dimostrata la causazione di alcuno stato di soggezione, intimidazione ed omertà» nelle vittime del blocco stradale, cioè gli automobilisti fermati per permettere al corteo di passare, né la percezione, «della ipotizzata provenienza 'mafiosà di tali condotte e neppure la consapevolezza di quanto stesse realmente accadendo».
Né il gip ha rilevato negli indagati «l'evocazione di un sodalizio a matrice mafiosa» al quale «ancorare la provenienza delle azioni poste in essere». La misura è stata disposta nei confronti di Cesare Marino (35 anni) Carmela Tagliaferro (23), Domenico Lepenne (29), Michele Mastrolilli (25), Gaetano Maltarino (27), Lorenzo Moretti (20), Cosimo Damiano Angerame (23), Nicola Romano (21), Michele Luciani (22), Francesco Anaclerio (25) e del 18enne Antonio Natangeli. La Dda aveva chiesto il carcere per Luciani e Anaclerio.
Pur non riconoscendo l’aggravante dell’agevolazione mafiosa, il gip Nicola Bonante - riportando passi dell’inchiesta della Dda di Bari e della squadra mobile - ha sottolineato alcuni aspetti importanti relativi al corteo. Dopo il funerale, infatti, le centinaia di moto attraversarono alcuni punti del quartiere Japigia, fermandosi sotto casa di Giovanni Mastrolilli (zio di Di Gioia considerato esponente importante del clan Parisi, allora ai domiciliari e da pochi giorni in carcere per un omicidio di mafia del 2017, nonché padre di uno degli 11 sottoposti oggi a misura), della famiglia del 27enne morto e del boss del quartiere Eugenio Palermiti (una "probabile manifestazione di dovuta reverenza tipica delle associazioni criminali», scrivono gli inquirenti, «verso il 'capò del consesso di appartenenza").
Prima di arrivare nei pressi del carcere, poi, alcuni degli «apripista» avrebbero aggredito verbalmente dei vigili urbani nei pressi della chiesa di San Marcello, per poi prendere contromano la via della casa circondariale in cui era detenuto il suocero di Di Gioia. Significativi anche alcuni passaggi relativi all’agenzia di pompe funebri scelta per il funerale, la 'Eterno Riposò. Il padre della titolare, infatti, risulta avere «precedenti per omicidio e associazione mafiosa ed è considerato elemento di spicco del clan Parisi-Palermiti».
L’autista del carro, invece, è il titolare di una ditta alla quale l’agenzia aveva subappaltato il trasporto del feretro, minacciato di morte da alcuni dei partecipanti al funerale. «Ora se non fai quello che ti diciamo noi ti prendi una bella caricata e ti metto al posto di Big (il soprannome di Di Gioia, ndr)» e «Qui comandiamo noi, il dolore è forte, la colpa è delle forze dell’ordine» sono le frasi che, in dialetto, sarebbero state rivolte all’autista. "Appena possibile, sinceramente, ho lasciato il cimitero e sono letteralmente scappato», ha detto l’uomo agli inquirenti.