In una scuola media cittadina, la professoressa di Lettere ha la buona idea di coinvolgere i genitori degli studenti invitandoli ad andare nelle classi a raccontare la loro professione. Un’ora a disposizione durante la quale dire come si lavora, di cosa esattamente si compone l’attività quotidiana, come si è arrivati a quel determinato mestiere, se lo si ama o no, sino a che punto è una strada che ci si sente di consigliare ai ragazzi. Nobile iniziativa, per come si propone di avvicinare questi ultimi al mondo del lavoro, un mondo per anagrafe ancora distante, percepito in modo vago, e spesso (troppo spesso) prospettato a tinte fosche, come via via più inarrivabile, di difficilissima conquista. Anche, per converso, giusta iniziativa nel suo tentativo di aprire ai genitori le porte della scuola, quello spazio dove i figli consumano tanta parte del loro tempo e che molte volte resta sconosciuto, quello pure vago, indefinito.
A tre mesi dal lancio dell’iniziativa, hanno risposto solo madri. Madri che sono andate di persona, con entusiasmo, passione, con calore raccontando il loro lavoro, trasmettendo ai ragazzi le loro mansioni professionali, e le la loro passione, le possibilità, gli orizzonti. Non un solo padre: non uno. Non un solo maschio adulto che abbia colto l’importanza della proposta avanzata dall’insegnante, non uno che come genitore si sia sentito in dovere (o che abbia presagito il piacere, le due cose non sono così lontane) di aderire, con generosità e presenza condividere qualcosa della propria vita professionale.
Personalmente, trovo la notizia desolante: racconta di una paternità vissuta soprattutto come assenza, come spessissimo accade nelle famiglie italiane odierne. Eppure siamo nel 2022, in un presente che dovrebbe avere ragionato e masticato molto della questione delle pari «opportunità» anche nel senso di pari responsabilità. Qualcosa si è fatto per fare evolvere la paternità, favorire una maggiore consapevolezza degli uomini nel senso di loro assunzione di responsabilità anche emotiva del loro mettere al mondo i figli, allevarli, seguirli? Qualcosa si sarà fatto sì, ma certo non abbastanza, se il mondo della scuola ancora è visto «cosa da mamme».
Si potrebbe vedere un dato positivo nel fatto che le tante madri che sono andate nella scuola a raccontarsi sono donne che lavorano; ovvero, in altri tempi stessa iniziativa non avrebbe visto aderire nessuno, né i padri assenti e disattenti, né le madri perché casalinghe. Nonostante il felice palmare incremento della professionalità al femminile, resta un elemento retrivo e antiquato in questa spartizione di ruoli. Resta un risultato malinconico quello ottenuto dalla solerte insegnante che ha visto venire nelle sue classi solo ed esclusivamente mamme, angeli del focolare, angeli tuttofare. Tra le molte cose che l’educazione sentimentale collettiva vorrebbe ampliata e approfondita, c’è una riflessione sul maschile anche nel senso della paternità. Essere padri non è solo portare denaro a casa e sornioni guardare «lei», la Mamma, prodigarsi per i figli e seguire di loro ogni aspetto della vita. Oppure, se ci si separa, essere figure sole o accompagnate da nuove compagne, figure pronte ad e accogliere non senza impaccio gli stessi figli per i fine settimana, vacanze o altro tempo stabilito magari in tribunale. Essere padri è anche e soprattutto essere persone, esattamente come le madri. Persone adulte che si mettono in gioco, raccontando ai figli che cosa è la loro vita, come l’hanno costruita; e che si lasciano coinvolgere dalla vita dei loro figli, senza ritenere che andare nella loro scuola e passarci un’ora del loro tempo significhi sprecare quel tempo. La parità incomincia da un umile sentirsi uguali: padri, madri, tutti adulti e tutti nella stessa barca, lungo l’impervio, meraviglioso cammino del crescere dei figli.
Come siamo drammaticamente indietro su questo fronte, in Italia. Piccole notizie come questa che riporto bastano a confermarlo. Drammaticamente indietro rispetto ad altri Paesi europei e del mondo, ma drammaticamente indietro prima ancora rispetto al tempo della Storia. Un tempo che corre , nostro malgrado va avanti e ci vuole (ci vorrebbe) sempre più umani, in maturazione, spinti da un inesausto desiderio di crescere, migliorarci, cambiare, metterci in discussione. La parità tra i generi, quella pure dovrebb’essere portata nella scuola come oggetto di insegnamento e riflessione da condividere e affrontare con i ragazzi. Padri e madri non si nasce, non si nasce «imparati»: ci vogliono tanta umiltà e tantissima attenzione per apprendere a esserlo al meglio. Rimboccarsi le maniche sapendo che in primo luogo, oltre al saper provvedere materialmente al benessere dei figli, dobbiamo saper mostrare loro gli adulti che siamo, che abbiamo saputo diventare. Con massima onestà: e più saremo onesti, e veri, più loro ci capiranno e sapranno apprezzarci. I padri siano padri, lasciati polverosi schemi del passato, e abbracciando la novità del diventare umani. Tanto, tanto più umani.