È proprio il caso di dirlo: in Italia è scoppiata l’ananas-fobia. La «pizza all’ananas» lanciata da Gino Sorbillo - che in questi giorni ha fatto il giro dei rotocalchi e dei telegiornali - ha scatenato stomaci e animi, tanto da far ribollire il sangue ai puristi e a far insorgere un vero e proprio «partito della forchetta italiana»: quello dei conservatori gastronomici, i reduci sostenitori della tradizione nazionalista a tutti i costi, gli stessi che succede però d’incontrare di sabato nel migliore degli «All you can eat» della zona ad addentare un roll salmon philadephia e avocado o a ordinare una pizza con impasto al carbone nero o curcuma. Cose che fino a dieci fa non avrebbero mangiato nemmeno sotto tortura.
Eppure, gli accademici della «crusca della tavola italiana» sono insorti a suon di insulti e offese, minacce e polemiche, accuse e denigrazioni, puntando il dito contro Sorbillo, tanto da aver fatto tirare un sospiro di sollievo anche a Chiara Ferragni che, sollevata da tutto questo clamore intorno al maestro napoletano, s’è vista all’improvviso (e non con troppo dispiacere) spodestata dal trono delle polemiche settimanali sul suo panettone pseudo-solidale.
La trovata di Gino Sorbillo - nemmeno troppo nuova, come ha raccontato nel suo editoriale un custode della storia gastronomica italiana come Luciano Pignataro - ha innescato la miccia, dividendo l’Italia tra guelfi e ghibellini della pizza. Un dibattito così infuocato da non essere passato inosservato a due fra le testate giornalistiche più importanti al mondo: The Times e CNN. La domanda sorge spontanea: non è che a irritare, più che la new entry nel menu sorbilliano, sia stata l’ennesima trovata mediatica (riuscita) del seguitissimo pizzaiolo napoletano che, dopo la pizza con la farina di grillo e la versione rosa Barby, è nuovamente riuscito nel giro di pochi mesi a far parlare di sé a livello planetario? Suvvia, diciamocelo. I social ci piacciono, ma quelli che nei social hanno successo un po’ meno. Quando poi sono pure bravi, perché aprono decine di locali nel mondo, allora davvero non ci va giù. Il popolo della rete è giudice, quando boccia le costruzioni e premia la spontaneità. E poi c’è il mestiere: se è vero che oggi fare l’influencer equivale a svolgere una professione vera e propria, è altrettanto necessario che questa venga abbinata a un talento accreditato o a una qualche predisposizione. Diversamente, il successo reale resta un’utopia e si rischia soltanto di essere una delle tante meteore, brillate e cadute. Sorbillo, prima di essere un maestro del marketing e della comunicazione (tanto che qualcuno ha proposto per lui perfino una cattedra), è un maestro di naturalezza. Le cose le pensa e le fa. Nel Metaverso questo approccio viene riconosciuto e apprezzato, e quindi seguito.
Ma torniamo ora alla «pineapple» della discordia. Tralasciamo per un attimo i grandi piatti della cucina italiana che hanno celebrato l’abbinamento del carboidrato con la frutta fresca ed esotica – citando alcune ricette must di «Giallo Zafferano», risotto mele e speck, risotto all’arancia, risotto con capesante e agrumi, quello all’arancia, spada e gamberetti, risotto alle fragole, spaghetti con guacamole e salmone, risotto alla melagrana, ravioli di grano con pere e taleggio, risotto all’uva, insalata di riso mango e ananas, penne integrali con tomino, fichi e noci, rigatoni ai porcini e frutti di bosco (potrei continuare) – e anche l’amore occidentale oramai diffuso per il sushi hawaiano. Dimentichiamoci per un momento pure che a Tokyo, patria del sushi, è possibile mangiare alcune fra le pizze migliori al mondo (se non ci credete sappiate che molti pizzaioli giapponesi hanno vinto concorsi internazionali di pizza che si sono svolti a Napoli e in altre parti d’Italia, senza per questo sentirsi dei traditori della patria).
Cosa resta di questo esperimento sociale infiocchettato da Sorbillo? Un bigottismo tutto italiano (per richiamare ancora il maestro Pignataro, «un popolo conservatore e poco aperto alle novità»), lo specchio di un Paese che «non accetta» per preconcetto ciò che è lontano dalla zona di comfort. Chissà cosa direbbe oggi Cristoforo Colombo di questa polemica, lui che quando nel 1493 assaporò per la prima volta in Guadalupa l’ananas gli piacque talmente tanto che decise di portala con sé in Europa. Non a caso parliamo dell’esploratore e navigatore più importante della storia italiana, colui che con sfrontatezza svelò agli europei l’esistenza delle Americhe. Un uomo innovativo, i cui meriti gli vennero riconosciuti soltanto anni più tardi. In fin dei conti se l’ananas è finita sulla pizza di Sorbillo è anche un po’ colpa sua.