Martedì 09 Settembre 2025 | 20:19

«Quella gru non funzionava», in aula la moglie dell'operaio ex Ilva morto nel 2019

 
Alessandra Cannetiello

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Alessandra Cannetiello

«Quella gru non funzionava», in aula la moglie dell'operaio ex Ilva morto nel 2019

La vedova di Cosimo Massaro ha raccontato l'ultima telefonata fatta dal marito prima che precipitasse in mare

Venerdì 04 Ottobre 2024, 12:34

TARANTO - «Mi disse “Quando ci sarà il maltempo, io scendo” come se lui se lo sentisse. Il capo gli aveva detto di scendere. Ma non l’ha fatto perché la gru non funzionava. Erano le 18.59». Ha ricordato persino l’ora esatta di quella telefonata Yulia Severyn, la moglie di Cosimo Massaro, 40enne operaio ex Ilva che morì precipitando da oltre 60 metri di altezza quando la gru su cui lavorava fu trascinata in mare da un tornado il 10 luglio 2019. Nell’aula Alessandrini, dinanzi al giudice Anna Lucia Zaurito, la donna ha raccontato di quel brutto presentimento, forse ricordando che proprio su quella gru, sette anni prima un altro operaio dello stabilimento, il 29enne Francesco Zaccaria, era morto nello stesso modo. «Diceva sempre che le gru non andavano bene. Spesso non funzionavano e andavano su un’altra. Quel giorno l’ho sentito al telefono prima che accadesse tutto. E mi aveva detto che stava arrivando il brutto tempo. Mi disse di ripararmi». Ma nessuno dei due immaginava che quella era la loro ultima conversazione: «Stavamo persino parlando di andare a mangiare una pizza, quella sera».

La testimonianza di Yulia si aggiunge alle ricostruzioni fatte dai colleghi di «Mimmo» che tra le lacrime avevano rivissuto gli ultimi istanti di quella tragedia, sottolineando le condizioni pessime delle macchine su cui lavoravano ogni giorno. Nel processo, che vede imputati sette dirigenti e la società ArcelorMittal che aveva in gestione la fabbrica, i pubblici ministeri Raffaele Graziano e Filomena Di Tursi, vogliono dimostrare che quel giorno, così come accaduto per Zaccaria, le procedure di emergenza in caso di condizioni meteorologiche avverse non erano state messe in atto, né previsti dei punti di evacuazione predisposti per mettere in sicurezza i lavoratori. Per l’accusa la morte di Cosimo Massaro è da considerare come la somma «della gestione inadeguata» e della «violazione della normativa vigente in tema di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro» nello stabilimento siderurgico. Alla sbarra, con l’accusa di omissione dolosa di cautele contro infortuni sul lavoro e cooperazione in omicidio colposo sono finiti: Stefan Michel Van Campe, ex gestore per ArcelorMittal Italia dello stabilimento nel 2019, e gli allora dirigenti Vincenzo De Gioia, Carmelo Lucca, Giuseppe Dinoi, Andrea Dinoi, Mauro Guitto e infine Teodoro Zezza, capo del turno precedente all’incidente mortale, difesi dagli avvocati Franz Pesare, Egidio Albanese, Francesco Nevoli, Armando Pasanisi, Lorenzo Bullo, Enzo Sapia e Antonio Liagi.

Quel pomeriggio di 5 anni fa il vento soffiava a forte velocità mentre il 40enne si trovava sulla cabina di manovra, al quarto sporgente del porto mercantile di Taranto. La «cabina più lenta», aveva detto un suo collega a processo. Durante quegli ultimi momenti, poco prima delle 19.30, mentre Massaro si trovava bloccato con la consapevolezza di quanto stava per accadere, era rimasto in contatto radio con un suo collega. L’urto con un’altra gru, poi la caduta in mare dell’intera struttura su cui si trovava. Le ricerche dell’uomo furono sospese quella notte, a causa delle condizioni meteo proibitive, per il rischio di ulteriori crolli. Poi il ritrovamento del suo corpo senza vita, tre giorni dopo.

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