TARANTO - È di 9 anni la richiesta di condanna avanzata dal pubblico ministero Francesca Colaci nei confronti di Lucano Donati, accusato di sura ed estorsione. Al termine della sua requisitoria il pm Colaci ha ripercorso le fasi salienti dell’indagine partita dalla denuncia di una commerciante tarantina a cui Donati avrebbe concesso una serie di prestiti per poi terrorizzarla quando la donna non è stata nella condizione di rispettare il pagamento delle rate.
Secondo quanto ricostruito nel corso delle indagini, condotte nel 2012 dai carabinieri e coordinate all’epoca dal pm Lucia Isceri, Donati avrebbe concesso alla donna un prestito di 5mila euro facendosi promettere il versamento di un tasso di interesse usuraio pari a 500 euro mensili e ricevendo in garanzia un’abitazione. A distanza di poco tempo, però, la donna aveva chiesto e ottenuto un’altra somma di 10mila euro e infine anche un terzo prestito di altri 3mila euro. Per ogni prestito, l’imputato avrebbe preteso anche una serie di beni in garanzia: la donna è stata così costretta a privarsi di tre pellicce, una collana e di un bracciale di zaffiri.
La rata che avrebbe dovuto restituire era quindi lievitata fino a 1800 euro al giorno: per la commerciante che versava in una situazione di evidente difficoltà onorare quell’impegno è stato possibile solo per il primo mese, poi le cose si sono complicate. Nel corso del processo, però, ha avuto il coraggio di confermare tutto quello che all’epoca dei fatti aveva permesso ai carabinieri di arrestare Donati e altri due complici che sono stati giudicati in processi separati.
In aula la donna ha spiegato che quando ha chiamato il suo aguzzino per annunciargli che non poteva rispettare il pagamento dell’intera rata, questi era andato in escandescenza e poi sono cominciate le minacce. «Se non pagavo, si prendeva la casa – ha spiegato la commerciante durante il processo - Si arrabbiò, minacce, e dovetti andare a casa sua continuarono le minacce perché comunque ero intimorita, avevo paura. Disse che andavano da mia mamma, che buttavano mia mamma dal balcone, che lui sapeva tutti i miei movimenti comunque. Li sapeva tutti. E io lì ho veramente capito la gravità della situazione perché mi sono veramente spaventata. Non avevo la possibilità di dargli 1.800 euro tutti in una volta. Però c'è anche da dire un fatto, che lui - non lo so - tentava anche di tranquillizzarmi nello stesso tempo, ma poi ... è come dare lo zuccherino e poi toglierlo, e dire "adesso ti faccio vedere io". Comunque ho vissuto brutti momenti».
Le condizioni peggiorarono fino al 25 agosto 2012 quando dopo una crisi di pianto la donna trovò il coraggio di recarsi dai carabinieri a denunciare l’intera vicenda. I militari dell’Arma organizzarono così la trappola: fotocopiarono il denaro che la donna avrebbe dovuto consegnare e poco dopo lo scambio di denaro fermarono e arrestarono un complice di Donati che finì in cella poco tempo dopo. A distanza di oltre 11 anni dai fatti il processo di primo grado è giunto ora alle fasi finali: dopo la requisitoria del pm Colaci, la parola passerà nella prossima udienza alla difesa rappresentata dall’avvocato Salvatore Maggio e poi toccherà al collegio di giudici, composto dal presidente Luana Loscanna e a latere Clara Cirone e Flavia Lombardo Pijola, ritirarsi in camera di consiglio ed emettere il verdetto.