TARANTO - «La nazionalizzazione non è la soluzione. Non crediamo nella sua compatibilità con la salute dei tarantini ed è di tutta evidenza che non produca più neppure economia e lavoro». Per le associazioni ambientaliste il futuro a Taranto si costruisce partendo dalla eliminazione delle fonti inquinanti che hanno determinato l’emergenza sanitaria e ambientale e – aggiungono - mortificato negli anni pezzi importanti dell’economia. «Anche le istituzioni locali - sottolinea l’associazione Giustizia per Taranto - devono avere il coraggio di programmare la chiusura del siderurgico facendo fronte comune per pressare il Governo al fine di mettere mano ad una riconversione integrale del sito e del territorio alla stessa stregua di quanto fatto nel bacino della Ruhr, in Germania».
Mentre per l’ex Ilva, incalza il movimento ambientalista, «sono già stati sperperati quindici miliardi di euro senza essere approdati a nulla e pensando di attingerne almeno altri cinque, lì (in Germania) con dieci miliardi in dieci anni si è dato vita ad una entusiasmante opera di rigenerazione che ha prodotto ancora più economia (sana) e occupazione». Al sindaco Rinaldo Melucci gli attivisti chiedono di guardare «al problema con lungimiranza, senza farsi condizionare dall’attuale emergenza. Se si avrà questa capacità – avvertono - saremo pronti a unirci per dar vita ad un fronte unico che pretenda di salvare Taranto, e non più la fabbrica».
Le mamme aderenti all’associazione Genitori Tarantini puntano l’indice contro i sindacati che chiedono allo Stato di prendere il controllo dello stabilimento e rilanciarlo. «Sindacalisti davvero responsabili ed illuminati - sostengono - si sarebbero dovuti muovere già da tempo per garantire la salute, la sicurezza, la salubrità ambientale e la dignità a tutti i lavoratori chiedendo di abbandonare l'infame e assassina produzione d'acciaio attraverso un accordo di programma del tutto simile a quello di Genova, che ha tutelato questi diritti. È così difficile, per loro, tutelare lavoratori e cittadini?».
Ieri, intanto, si è svolta una cerimonia davanti alla direzione dello stabilimento per ricordare l’operaio Ilva Francesco Zaccaria, a dieci anni dalla sua morte avvenuta su uno degli sporgenti portuali gestiti dal Siderurgico, e tutte le vittime del lavoro. Una banda ha eseguito marce funebri su iniziativa del Comitato «12 Giugno» presieduto da Cosimo Semeraro, ex lavoratore dell’acciaieria che si ammalò di asbestosi. Prima si è svolto un breve corteo aperto dallo stesso Semeraro che imbracciava una croce con la scritta «Sicurezza per non morire», poi gli striscioni con i volti di alcuni operai deceduti sul lavoro.
«Avevo chiesto all’azienda - ha spiegato Semeraro - di far suonare per due minuti le sirene in modo che tutti gli operai potessero rendere omaggio ai loro colleghi morti in questa fabbrica, dove più di 500 lavoratori sono deceduti solamente per incidenti più 200 per amianto. Non si sono degnati nemmeno di rispondermi e sono stato costretto a portare qui la banda per suonare a morto. Speriamo serva di lezione».