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Taranto, l'ex Ilva? «Una gestione criminosa»

 
Mimmo Mazza

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Mimmo Mazza

La replica in aula del pm che chiede condanne a 28 anni di carcere per Fabio Riva e l’ex direttore Luigi Capogrosso

Domenica 16 Maggio 2021, 13:44

Taranto - Proseguirà domani, dinanzi alla Corte d’Assise che tornerà a fare udienza a San Vito, nella scuola sottufficiali della Marina Militare, la replica del pubblico ministero Mariano Buccoliero, uno dei quattro rappresentanti della pubblica accusa nel processo per presunto disastro ambientale provocato dall'attività dell’ex Ilva nel periodo della gestione Riva (1995-2003), processo che imputate 47 persone, 44 persone fisiche e 3 società. Il dibattimento volge ormai alle ultime battute. Il calendario di massima prevede per domani la conclusione delle repliche da parte della pubblica accusa e gli eventuali interventi delle parti civili, poi martedì la difesa e dunque a seguire la corte (presidente Stefania D’Errico, giudice a latere Fulvia Misserini e sei giudici popolari) entrerà in camera di consiglio – in un'ala appositamente attrezzata della struttura militare, come già avvenne nell'aprile 2013 per il caso Scazzi - per poi emettere il dispositivo della sentenza.

L’accusa ha chiesto condanne pesanti per molti imputati: per esempio, 28 anni di reclusione per l’ex proprietario e amministratore Fabio Riva e altrettanti per l’ex direttore del sito di Taranto, Luigi Capogrosso. In sede di replica, il pm Buccoliero ha detto che «venivano effettuati solo a fine campagna degli impianti e molti erano a fini produttivi». Inoltre, secondo il magistrato, «l’importo complessivo è di 935 milioni e non un miliardo e 170 milioni, come sostengono i consulenti della difesa». «Sono sorpreso dalla difesa – ha dichiarato il pm – perché ha sostenuto l’insostenibile rappresentando l’Ilva come un’impresa che non ha mai emesso polveri e altre sostanze nocive, che non ha mai inquinato e come se Taranto fosse un paradiso come le isole Mauritius. Lo hanno fatto – ha detto il pm – con i consulenti che hanno presentato l’acciaieria tarantina come l’unica del mondo ad emissioni zero e Taranto come una città priva di inquinamento. Le arringhe altro non sono state che che il riassunto delle consulenze di parte ma questo ha voluto significare buttare a mare le relazioni dell'Arpa, far finire sotto processo i funzionari dell'Asl e tutte le sentenze passate in giudicato». Per Buccoliero, «non è un caso che le tesi difensive sentite nel processo, non sono state mai portate all’esterno. Da questo processo, per la difesa, scompare l’Arpa e tutti gli accertamenti fatti nel corso degli anni». Ma per il rappresentante dell’accusa, «il dato obiettivo è che a Taranto, dopo il sequestro dell’area a caldo, sono calate le emissioni ed è migliorata la qualità dell’aria come la situazione epidemiologica. Per aderire alla tesi della difesa, la Corte – ha rilevato il pm – dovrebbe gettare a mare tutte le relazioni di Arpa e le analisi di scienziati, dovrebbe mettere da parte tutta la vicenda dell’abbattimento dei capi avvelenati dalla diossina, della distruzione di mitili pieni di diossina e Pcb. E quindi – ha chiosato Buccoliero – o hanno sbagliato tutto i periti dell’accusa o i consulenti della difesa. Poi, l'Eni, l'Appia Energy e tutte le altre aziende citate dai consulenti della difesa come possibili inquinatrici hanno continuato a lavorare regolarmente, senza che sia mai emerso alcun problema di sorta».

​Il pm ha poi ricordato, a sostegno delle proprie tesi, i pretesi dati oggettivi rappresentati dalle sentenze della Magistratura a proposito dei parchi minerali in quanto fonti emissive, quella della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, il riesame dell’Autorizzazione integrata ambientale da parte del ministero del’Ambiente, le ordinanze dei sindaci di Taranto, Statte e della Regione Puglia che hanno vietato le attività di pascolo nelle zone circostanti lo stabilimento. A proposito dei capiarea, imputati nel processo, per il pm «potevano non accettare la gestione di un’area dello stabilimento altamente inquinante. C’era un accordo criminoso – ha sostenuto Buccoliero -, nessuno dei capi area può essere esentato da una responsabilità penale. Hanno fatto marciare un impianto inquinante nella piena consapevolezza e sono stati artefici, con la loro condotta attiva, dell’inquinamento. Nessuno – ha detto ancora il pm – è stato costretto a gestire gli impianti, è stata una loro libera scelta. Avrebbero dovuto calibrare la produzione su un livello non inquinante, invece hanno contribuito alla gestione criminosa dello stabilimento». Parole dure anche per i «fiduciari» dei Riva, consulenti dell’azienda presenti in fabbrica e per l’accusa provvisti di ampi poteri. Per il pm Buccoliero, i «fiduciari» di Riva, che sono tra gli imputati, «garantivano l’efficienza produttiva inquinando. La loro grande competenza, messa in risalto dalla difesa, doveva indurli a ridurre la produzione, invece hanno fatto marciare gli impianti al massimo», ha rilevato il pm.

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