TARANTO - «Vista la insostenibilità della situazione, la ditta d’appalto Ferplast ha ritirato i lavoratori dallo stabilimento siderurgico di Taranto. Si tratta di un’azienda con oltre 200 addetti tra contratto a termine e a tempo indeterminato». Lo riferisce Vincenzo Castronuovo, coordinatore Fim Cisl per l’indotto-appalto, aggiungendo che «le aziende terze, che avanzano molti soldi da ArcelorMittal, sono in ginocchio». ArcelorMittal, precisa la Fim, «ha contattato le imprese promettendo loro un acconto che però non si è visto, e dalla fabbrica adesso non risponde nessuno».
La Fim spiega che «i lavoratori a termine» della Ferplast, «man mano che scadevano i contratti, non sono stati più rinnovati e sono rimasti a casa, mentre gli altri sono finiti in cassa integrazione». «Una ventina - precisa - quelli rimasti al lavoro: sono gli addetti connessi al ciclo produttivo».
Il sindacalista sostiene che «le aziende terze che avanzano molti soldi da ArcelorMittal hanno mandato lettere al committente annunciando che saranno costrette a ritirare i lavoratori dallo stabilimento siderurgico. Quando si profilava la data dell’uscita dalla fabbrica, ArcelorMittal ha contattato le imprese promettendo loro un acconto, che però non si è visto».
Castronuovo fa presente che «le imprese hanno già fatto ricorso alla cassa integrazione Covid 19 e poi proseguiranno con quella ordinaria. Ma i soldi della cassa integrazione non arrivano, gli stipendi non vengono pagati, c'è chi si barcamena con gli acconti e le imprese accumulano altri debiti». «La situazione dell’indotto - conclude l’esponente della Fim - sta diventando una catastrofe economica, imprenditoriale e occupazionale».
«In queste ore si susseguono dichiarazioni del ministro dello Sviluppo Economico circa la presentazione di un nuovo piano industriale da parte di ArcelorMittal, così come da impegni assunti nell’ultimo incontro. I contenuti del piano continuano ad essere sconosciuti alle organizzazioni sindacali e ai lavoratori, in una drammatica condizione che riguarda tutti gli stabilimenti del gruppo. Non ci si può semplicemente nascondere dietro l’emergenza Covid-19 perchè sono evidenti le condizioni e le responsabilità precedenti alla pandemia, come anche l’indifferenza dell’azienda rispetto all’accordo sindacale sulla piena occupazione. Allo stato gli stabilimenti sono pieni di cassa integrazione e vuoti di investimenti». Lo afferma in una nota Francesca Re David, segretaria generale Fiom-Cgil secondo la quale è «necessaria una convocazione urgente da parte del Governo per una valutazione sullo stato della trattativa e sul significato e sui tempi dell’ingresso di Cassa Depositi e Prestiti nella proprietà. Ed è urgentissima la convocazione del tavolo di settore per tutta la siderurgia». «Discutere delle crisi irrisolte, dei cambi di proprietà, dell’intervento pubblico, del green new deal in siderurgia e nelle sue filiere strategiche, senza i lavoratori e i sindacati che li rappresentano - conclude - sarebbe una scelta sbagliata e non accettabile».
«ArcelorMittal sta dimostrando di essere il volto del peggiore capitalismo: non rispetta gli impegni presi e fa profitti sulle spalle dei contribuenti. Mi riferisco agli oltre 8mila lavoratori messi in cassa integrazione da un giorno all’altro, mossa che rappresenta un anticipo del piano di esuberi che si appresta a presentare». Lo sottolinea in una nota l’eurodeputata tarantina Rosa D’Amato, secondo la quale «una multinazionale come ArcelorMittal dovrebbe avere le spalle ben coperte per affrontare questa crisi: è vero - aggiunge - che quest’anno il mercato dell’acciaio a livello globale subirà una riduzione intorno al 6% rispetto al 2019. Ma è anche vero che nel 2021 è attesa una ripresa del 3,8%». Inoltre, afferma D’Amato, «in piena pandemia, ArcelorMittal ha incassato la vendita del laminatoio di Seraing, in Belgio, ultimo atto del grande piano di rilancio dell’acciaieria di Liegi che si è concluso dopo pochi anni con licenziamenti di massa e chiusura degli impianti. E’ ora di dire basta e aprire gli occhi: ArcelorMittal sta perseguendo a Taranto la stessa strategia seguita in Belgio. Il Covid gli sta solo dando una scusa in più». Il governo, conclude l’eurodeputata, «apra gli occhi e non ceda ai ricatti. Oggi, abbiamo una grande possibilità, quella di avviare un piano di riconversione economica che mantenga il reddito di chi perde il lavoro promuovendo al contempo uno sviluppo di lungo termine e sostenibile sia per l’ambiente, sia da un punto di vista socioeconomico. In prospettiva, potremo contare anche sulle risorse del Just Transition Fund. E’ questa la strada: le risorse pubbliche - conclude D’Amato - usiamole per riconvertire Taranto, non per assecondare i profitti sfrenati di un multinazionale».