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L'intervista
Fabrizio Nitti
21 Marzo 2021
BARI - Lilibeth. C’è sempre un nome di donna, da qualche parte, negli anfratti della vita di un uomo. Ma anche viceversa. Lilibeth è la barca sulla quale il grande sogno ha cominciato a realizzarsi, a essere meno sogno e più realtà. L’immaginario ponte di collegamento con «Luna Rossa-Prada Pirelli». Lilibeth è il nome che rimbalza subito nella testa di Fabrizio Lisco, il velista classe 1982 che ha portato un piccolo-grande pezzo di baresità, e quindi di Puglia, in Coppa America, in Nuova Zelanda. L’unico barese nella storia del trofeo più antico del mondo.
«Ricordo perfettamente - racconta dalla NZ Lisco -. Ero minorenne, non avevo patente nautica e Paolo Semeraro venne a casa mia chiedendo a mio padre di potermi portare su quella nove metri. Quella “moom” 30 mi ha aperto un mondo… Paolo Semeraro e Roberto Ferrarese hanno partecipato alle selezioni con altri team in funzione della Coppa America in passato. Loro mi hanno cresciuto. Roberto mi ha allenato sugli “Optimist” e con lui ho svolto tante regate, anche in match race in circuiti under 21 e under 25, un po’ le regole base della Coppa America. Con Paolo ho lavorato tante volte, è stato il primo a portarmi in altura. Non li dimentico»..
Dai moli del circolo della Vela di Bari, fino all’America’s Cup. Fino all’ultimo atto di una partita a scacchi contro il team New Zealand. Sì, perché in mare si gioca anche a scacchi…
«There is no second… In un match race, è come la boxe. Battuti, ma non sconfitti. Onore al merito, si può perdere in tanti modi. Qualcuno che conosco ha definito la nostra sconfitta come uno di quei casi in cui abbiamo vinto senza portare la coppa a casa. Credo sia l’esatta fotografia».
Che esperienza è stata?
«Intensa, resterà dentro di me per tutta la vita. Adesso capisco e realizzo. In passato ho sempre visto e sentito parlare della Coppa. Fino a che non ho partecipato anche io alla regata. È come l’Everest della vela, il trofeo più antico del mondo. Oltre che a formare professionalmente, dal punto di vista umano cambia tanto».
In cosa?
«Lavorare per tanto tempo e intensamente con i colleghi, vuol dire che in qualche modo devi modellare il carattere, ogni giorno è diverso dal successivo. Per tre anni di fila… Io sono arrivato nel gruppo nel dicembre 2017. Con 115 persone, devi andare d’accordo, essere squadra ogni giorno, ogni ora. Diverso dire vado una settimana in regata e torno a casa… Qui per tre anni si vive in simbiosi, diventando famiglia. I miei colleghi sono diventati i miei più grandi alleati, gente sulla quale contare giorno e notte. Però, alla base, c’è una conoscenza limitata, uno storico comune delle nostre vite non esiste. Ma sono anche sicuro che il “team” non finirà qui. Romanticamente, dietro la Coppa, ci sono storie di uomini, di ogni uomo che lavora al progetto. In Nuova Zelanda dal settembre 2020, duecento giorni fa, sempre lì… Si crea un micro cosmo italiano: il cuoco italiano ad esempio, un po‘ ti faceva sentire a casa. Non esiste il sabato, la domenica, Pasqua o Natale».
La storia di Lisco e Luna Rossa. Riassunto: il talento incontra un’occasione?
«Inizia nel 2017, grazie a Max Sirena (skipper di Luna Rossa, ndr). A Mahon, settembre. Ero lì con un team russo per una tappa della classe Tp 52, categoria poco sotto la Coppa America. Era lì anche Max. A dicembre bisognava provare il team per una “new generation”, Luna Rossa aveva charterizzato una vecchia barca sulla quale avevo già lavorato e il collegamento con me fu immediato. Conoscevo la barca, ovviamente. Serviva un trasferimento da Valencia a Cagliari e ci sono salito a bordo. Si narra si sia trattato di un test... Da Cagliari non sono più andato via. E un giorno Max entrò nel container e mi disse: “Cosa vuoi fare da grande?” Capii. Iniziò».
Nello specifico, come si svolge il suo lavoro?
«Non voglio dilungarmi in cose tecniche. Siamo a terra, in quattro nel mio dipartimento, il rigging. Ci occupiamo della parte albero della barca, di tutte le connessioni tra i cilindri idraulici e ciò che essi devono muovere. La bravura sta nello sfruttare al massimo l’estensione e la corsa del cilindro, controllare tutti i sistemi interni alle rande».
Quanto si dorme durante la Coppa?
«Poco, molto meno di ciò che si pensa. La vita è legata a Luna Rossa. Gestisce tutto lei. La giornata di inizia alle 7 e finisce alle 23».
La vela è per ricchi?
« No, assolutamente. È un mito che va sfatato. La vela è anche una barca di tre metri che carichi sul tetto della macchina. O una vacanza estiva. Se togli due cene al mese per dodici mesi, compri una barca».
Cos’è il tempo per un equipaggio?
«Migliore compagno di viaggio o la più grande ossessione. Dipende da come va la gara»
E il vento?
«Il miglior amico, senza non si va da nessuna parte. Se ci ha tradito in finalissima? Non sono la persona adatta a rispondere. Non so dire le sensazioni vissute in barca in quei momenti. La vela non è sempre uno sport scientifico, alla fine si gioca sul decimo di millimetro, sul talento e l’intuito. Poco fortunati? Vengo da una scuola agonistica, ho vinto anche due mondiali e tanti titoli. Non me la sento di parlare di sfortuna, è una giustificazione, un alibi. Voglio essere sincero, i neozelandesi sono stati più bravi. Il nostro resta un grande risultato, abbiamo perso con onore. Forse erano convinti di vincere 7-0…. Ma nello sport ha ragione sempre il migliore».
L’8 giugno è la giornata mondiale degli Ooceani, dove sarà Lisco?
«Nel Mediterranneo, il mio mare. Dove tutto è cominciato».
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