«Le metafore atmosferiche sono fra le più efficaci e potenti. Fenoglio lo aveva letto da qualche parte ma non ricordava dove» (L’estate fredda, di Gianrico Carofiglio, Einaudi 2016). Legge il maresciallo Pietro Fenoglio, ascolta musica classica, ama l’arte. La sua tempra sabauda indaga nella criminalità della Bari dei primi anni Novanta. Nato dalla penna dello scrittore barese Gianrico Carofiglio che al suo personaggio ha dedicato una trilogia Una mutevole verità (Einaudi 2014), L’estate fredda, La versione di Fenoglio (Einaudi 2019), il maresciallo è protagonista della serie tv «Il metodo Fenoglio – L’estate fredda», per la regia di Alessandro Casale. La fiction girata a Bari con alcune scene a Mola, una coproduzione Rai Fiction-Clemart srl., con il contributo di Regione Puglia e Apulia Film Commission, andrà in onda da domani, lunedì 27 novembre, alle 21.25, su Rai 1, per quattro settimane. Protagonista sarà uno dei nostri attori più apprezzati, Alessio Boni.
Boni, ci siamo, da lunedì il suo Fenoglio entrerà nelle case degli italiani. Che personaggio incontreremo?
«Spero innanzitutto che sia aderente al romanzo di Carofiglio. Lui è un sabaudo che dal Piemonte arriva a Bari negli anni della mattanza in cui veniva alla luce la mafia. Carofiglio è stato dentro la materia essendo stato pubblico ministero proprio in quegli anni. Pietro pensa di restare a Bari solo per una indagine, poi si innamora di Serena (Giulia Bevilacqua) e rimane. Fa parte del Nucleo Operativo dei Carabinieri e la sua caratteristica è essere rispettoso delle regole, ricercare la verità senza scendere a compromessi, attuando la logica.»
Il «metodo Fenoglio»?
«Sì, Pietro è un signore prestato alle forze dell’ordine per caso, perché lui avrebbe fatto l’insegnante di lettere. Ha però un fiuto eccezionale, è un fuoriclasse. Cerca di trovare l’empatia con la persona che ha difronte per poterla sgominare, per trovare la verità. La sua è un’analisi del pensiero. Detesta le armi, non vorrebbe avere neanche quella d’ordinanza. Ha studiato e conosce l’essere umano per comprenderlo e per poterlo debellare. È distaccato, come un grande chirurgo e questo gli dà la giusta distanza. In più rispetta tutti, anche il criminale che ha davanti.»
Cosa le ha insegnato?
«La pazienza di districare una matassa completamente intricata. Io non ho tanta pazienza, sono anche un po’ intollerante, lui mi ha insegnato a non buttare via niente.»
Ha collaborato con Carofiglio?
«La cosa che mi è piaciuta più di tutte dei suoi romanzi è che raccontano la verità, e noi abbiamo cercato di rendere questa verità. Gianrico ha collaborato alla sceneggiatura ed è stato molto d’aiuto sia sul set che per il mio personaggio».
Com’è stata l’atmosfera sul set?
«Alessandro Casale ha voluto che praticamente tutti gli attori fossero baresi, come Paolo Sassanelli, meraviglioso, che fa l’appuntato Pellecchia sempre accanto a me. Con lui si crea una sottile ironia che fa anche sorridere, una sorta di coppia come Don Chisciotte e Sancho Panza. C’è un cast eccezionale, con Bari che nella fiction è una piccola città ma fa da esempio a tutto ciò che accade nell’Italia di quegli anni, dall’incendio del Petruzzelli alla morte di Falcone e Borsellino. Tutti casi che portano il segno di qualcosa di più grosso, non è più la microcriminalità ma una mafia organizzata.»
Bari, una città che lei ama molto.
«Sì, anche perché ho molto amici a Bari, come Marcello Prayer (nella serie l’attore barese è il boss Nicola Grimaldi, ndr.). È una città sul mare, che si è aperta, che ama la cultura. Quando fu incendiato il Petruzzelli ad esempio, la partecipazione e la commozione dei baresi è stata impressionante. Quando abbiamo girato l’anno scorso c’era gente che ancora si commuoveva a ricordare quei giorni. Quel teatro è diventato motivo di aggregazione della città, i baresi ne andavano e ne vanno orgogliosi. Bari è una città rara e anomala al Sud, ha dei fattori lungimiranti, prova ad appartenere all’Europa.»