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Berlinale 73: «Disco Boy» del tarantino Abbruzzese unico film a rappresentare l'Italia

 
Massimo Causo

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Massimo Causo

Berlinale 73: «Disco Boy» del tarantino Abbruzzese unico film a rappresentare l'Italia

Il regista in concorso al Festival: «Una danza con il nemico»

Lunedì 20 Febbraio 2023, 10:58

27 Marzo 2023, 19:45

Film di fughe, spiazzamenti, arruolamenti. Ma anche film di corpi che si scontrano e spiriti che si incontrano, di lotte e di danze, di fratellanza e opposizione... Insomma Disco Boy, finalmente: l’opera prima del tarantino Giacomo Abbruzzese, materia incandescente di cinema della modernità, come ci ha abituato questo filmmaker pugliese cittadino del mondo, che infatti, dopo tanti corti apprezzati e premiati nei festival di tutto il pianeta, esordisce nel lungometraggio giungendo direttamente in Concorso alla Berlinale 73. Platea globale per l’unico film italiano della competizione, che del resto è un’opera davvero poco italiana, per impianto concettuale e produttivo molto più in linea con il cinema art house internazionale, anche perché in regime di coproduzione batte pure bandiera francese, belga e polacca.

Una storia, quella di Disco Boy, che vien voglia di definire come un romanzo di deformazione, che parte dalla perdita di sé per arrivare alla fusione con l’altro: anzitutto un film di soldati, ma prima ancora di emigrazione e infine di danza... Il protagonista, Alex, è un giovane bielorusso che cerca una nuova vita in Francia, ma vede infrangersi il suo viaggio da clandestino contro la morte del suo amico. Alex, che ha la presenza un po’ angelica e un po’ disperata di Franz Rogowski, è un’anima persa e un corpo senza più casa: carne perfetta per i cannoni della Legione Straniera, che lo arruola, lo addestra e gli dà un nome nuovo, una nuova bandiera. Dall’altra parte del film, però, c’è un’anima radicata e radicale, quella di Jomo, un giovane guerrigliero che vive assieme alla sorella Udoka in un villaggio sul delta del Niger, minacciato dallo sfruttamento petrolifero, e che ha ingaggiato una forma di resistenza contro l’occidente. Il corpo a corpo tra Jomo, che ha rapito dei francesi, e Alex, inviato nella giungla per liberarli, è l’innesto di un confronto sanguinoso e simbolico, quasi astratto, sul quale Giacomo Abbruzzese costruisce letteralmente Disco Boy.

Che non è certo un film realistico, ma amplifica quella naturale tendenza di questo filmmaker (dimostrata in tanti cortometraggi: da Fireworks a Stella Maris, a I santi) a stare nella realtà con uno spirito lucido, politico, ma anche con una capacità di produrre un senso simbolico degli eventi che si incarna nella statura etica e anche epica dei suoi personaggi, per quanto perdenti e marginali essi siano. In Disco Boy, allora, Alex e Giomo sono l’incarnazione della dicotomia tra lo smarrimento identitario e la radicalità dell’appartenenza: il loro corpo a corpo è il dramma della contemporaneità per eccellenza e si traduce in una simbiosi che è rinascita e rigenerazione. Questo è un film di migrazioni e trasmigrazioni, scritto sul rapporto tra l’astrazione e l’incarnazione, tra la fuga e il restare, tra la lotta e l’abbraccio. Alla fine, come dice il regista, «si tratta di capire come condividere una danza con il tuo nemico».

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