E’ un miracolo che si rinnova prendendo vita dal buio e dalla povertà e, per credenti e non credenti, resta il simbolo unico di attesa, nascita e speranza, declinabili in ogni dove. In fondo, tutti noi lo vorremmo festoso e allegro – dopotutto è così che va accolta una nascita – ma, nondimeno, tristezza e malinconia accompagnano spesso questi giorni di Natale. Dalla guerra alla fame, dalle piccole e grandi miserie di cui è irrimediabilmente avvolto il nostro esistere, sono molte le sfumature sottese a questi giorni, in attesa di un bilancio, di qui a una settimana, che resta sempre amaro, a dispetto di ogni buona intenzione e sforzo. Vorremmo non leggere più di accoltellamenti e rapine, di violenza negli stadi e nelle piazze del centro, di atti intimidatori e della protervia che accompagna le azioni criminogene.
Certo, ci sono forti anticorpi a tutto questo: una squadra-Stato attiva e funzionante, sempre sul campo, in grado di coniugare la sicurezza e l’ordine alla declinazione culturale, un volontariato degno davvero di questo nome e fatto di piccoli e grandi gesti silenti, un associazionismo che non ancora piega la testa e tenta l’impossibile in una terra dove i germogli di cultura fanno fatica ad attecchire. E quindi che sia questo Natale accompagnato da una maggiore ricerca di senso, un approfondimento in verticale che ci possa rendere più consapevoli e attenti nel lavoro e nelle relazioni, spesso inquinate da un difetto di comunicazione sempre più pervasivo che impedisce il nostro incedere. E non c’è fascia d’età che si salvi. Possiamo anche essere inguaribilmente ottimisti, ma non possiamo sfuggire a questa triste presa d’atto. E che non si dica che è colpa del Covid.
Come non lo è l’impietosa classifica che colloca la Capitanata all’ultimo posto, un fanalino che è figlio di errori sedimentati nel tempo. Confidiamo, pertanto, in questi giorni di riflessione piuttosto che di frastuono, senza edulcorare la realtà e ben consci del fatto che viviamo in tempi lamentosi e arrabbiati. Abbiamo smesso di dire grazie alla vita, e abbiamo messo a tacere – dentro e fuori di noi – santi, poeti, profeti, innamorati e musicisti. Partiamo, pertanto, da questi germogli di salvezza, roccaforti contro l’assenza di senso e la malinconia del vivere. Sono questi valori a essere imbevuti di cielo, di divino; sono loro a dirci, nella loro eternità, cosa ancora ci può nutrire e salvare. Credenti e laici indistintamente.