E se questa volta qualcosa cambiasse per davvero? L’uccisione di Giulia Cecchettin non ha solo colpito al cuore un’intera nazione, ha aperto un dibattito che sta durando più di un pianto o di un commento contrito lasciato cadere attorno al tavolo, in risposta al telegiornale.
La centotreesima vittima di femminicidio (termine che vale sempre la pena ricordare, come precisava Michela Murgia, non riguarda il sesso della morta bensì il motivo per cui è stata uccisa) nel 2023 in Italia, ci grida di fermarci.
E lo fa con la lucidità di una sorella che trova la forza di non usare quello che sarebbe un legittimo vocabolario del dolore personale ma parole che ci richiamano tutti, parole politiche, parole che non occultano ma analizzano, indagano, sviscerano, riflettono e parlano di giustizia mettendoci all’angolo, ricordandoci quello che siamo.
«Il femminicidio non è un delitto passionale, è un delitto di potere».
Le piazze piene degli ultimi giorni, il venticinque novembre che quest’anno non dura solo da un’alba a un tramonto. Più di un milione di persone che escono dal cinema dopo aver visto il bellissimo C’è ancora domani di Paola Cortellesi per ritornare a una realtà quotidiana fatta degli stessi elementi.
Qui ci sono i colori al posto del bianco e nero, ci sono le asciugatrici invece che i fili stesi sui terrazzi di Roma, ci sono le email al posto delle lettere, ci sono più di settant’anni nel mezzo eppure la violenza resta, fatta della stessa sistematicità, come intuisce Delia, la protagonista della pellicola e come ci ricorda Elena Cecchettin.
L’assassino è un ragazzo, parte di una generazione che abbiamo creduto salva, ripulita da certe dinamiche di possesso, ed è forse l’età l’aspetto che ci colpisce più di tutti, che frantuma la speranza che il tempo basti a curare le storture della società.
Serve consapevolezza per il cambiamento. E a volte serve una storia sola che però tiene dentro tutte le altre, un nome. Come Rosa Parks, come Franca Viola, come Mahsa Amini, come Giulia.