Qualche sera fa, la grazia mi ha concesso una misura di sé. Tutto è cominciato con un invito. Un amico ha aperto la sua casa campagna per pochi intimi e, proprio nella settimana sospesa del ferragosto italiano, ha donato a quanti si sono presentati alla sua porta qualcosa che ha richiesto vite interamente dedicate a una forma imperitura di bellezza: musica per orecchie liberate dalla schiavitù dei ritornelli estivi.
Musica che viaggia attraverso i secoli mediterranei e giunge a noi attraverso il lavoro di ricerca di un trio pugliese di musicisti raffinati e magnetici quanto gli strumenti antichi che hanno scelto di sposare aderendo con tutto il corpo e lo spirito ad una vocazione sontuosa che è il monachesimo visionario degli artisti rari, il sale di questo mondo. Gli artisti in questione sono Giorgia Santoro (flauto, bansuri, xiao, cimbali), Fabrizio Piepoli (voce, santur, shruti box, tar) e Adolfo La Volpe (oud, cetra corsa, bouzouki irlandese) che da anni firmano insieme il progetto musicale «La Cantiga de la Serena», con all’attivo quattro dischi dedicati al recupero e alla rielaborazione della musica tradizionale del bacino del Mediterraneo: La Serena, La Fortuna, La Mar e La Novia.
Amati e a ben ragione applauditi dal pubblico che da anni ne segue il percorso, sono apparsi con la medesima dolce autorevolezza dei grandi eventi e la semplicità tipica dei veri raccontastorie, in una di queste nottate di fine estate, in un cerchio di cicale e di esseri umani seduti su panche di legno in profondissimo ascolto, nella piena consapevolezza del privilegio vissuto insieme: poter ancora fare esperienza di una tale civiltà musicale e narrativa.
Nella stagione dell’eventismo vanaglorioso e dei forzati al divertimento di massa, dei dibattiti prosaici dei pianerottoli condominiali clonati dal sistema balneare salentino o albanese che sia, mentre tutto fa rumore e pochi sono i luoghi che si lasciano trovare sonori con le loro intatte meraviglie di complessità marina e di nuvole a forma di capodogli dentro cieli altissimi, nelle contratture temporali di agosto e nei suoi bilanci esistenziali che sono buchi neri di contrarietà collettiva, posso dire di aver sentito il canto delle sirene. A pochi chilometri da Lecce, in agro di Arnesano, in una casa cubica come quelle di un tempo, tra gli alberi nuovi e le zolle, nella dimora di chi accorda ancora la vita a un diapason che riconosce il suo vertiginoso, salvifico, livello.