In pratica consisteva (e consiste) nella riapertura del vaso cardiaco chiuso, mediante una sonda infilata attraverso l'arteria femorale fino alle coronarie ostruite. Più tardi quella stessa tecnica sarebbe diventata la soluzione salva-vita anche per migliaia di infartuati. Ad effettuare quell’intervento un giovane cardiologo brindisino (anzi di Latiano, come tiene a sottolineare) allora 38 enne, Antonio Gaglione, che fino a quel momento si era formato nelle sale chirurgiche di Francia, Svizzera e che poi si era specializzato a Milano.
Oggi Antonio Gaglione è un affermato cardiologo interventista presso una clinica privata a Bari, docente di Cardiologia presso l’università di Foggia e (molto) a tempo perso anche deputato.
Professore Gaglione, cosa ricorda di quell’8 maggio 1992?
Quel giorno è stato il coronamento di tanti anni passati in centri all’estero e in altre parti di Italia per imparare questa nuova tecnica. Mi sentivo sicuro perché insieme a me c’era il dottor Colombo, che ancora oggi è un luminare nel campo, e avevamo le migliori attrezzature disponibili. In più era il giorno di San Nicola e questo era di buon auspicio. L’atmosfera era di grande entusiasmo da parte di tutta l’equipe e grande era anche la curiosità da parte della comunità cardiologica pugliese, che infine accolse con soddisfazione l’esito di questa procedura che colmava una carenza della sanità locale e prometteva di ridurre i “viaggi della speranza” al Nord o all’estero.
Cosa ricorda di quel paziente? Lo ha più rivisto?
Il paziente l’ho rivisto più volte, l’ultima qualche giorno fa, e a distanza di 20 anni è ancora vivo, è professore di economia all’Università e ricorda ancora con soddisfazione l’intervento eseguito tanti anni fa e che gli ha permesso di vivere ancora adesso.
E’ vero che lei ha eseguito un’angioplastica anche nell’infarto acuto talmente in anticipo rispetto alla sua diffusione in campo nazionale, che a quella tecnica all’epoca non era stato dato ancora un nome?
Si trattava di un paziente in attesa di intervento di bypass aorto coronarico, rinviato per una broncopolmonite ma colpito da infarto complicato da shock cardiogeno. L’anestesista rifiutò l’intervento cardochirurgico d’emergenza per l’alto rischio e fummo quindi costretti, nel tentativo di salvare la vita del paziente, a sottoporlo ad una angioplastica “eroica” per quel tempo ma che poi risultò efficace. Solo qualche anno dopo venne codificata e, soprattutto, accettata dalla comunità scientifica l’angioplastica “primaria” come trattamento di prima scelta nell’infarto acuto.
Come è cambiata da allora la cardiologia?
La cardiologia, soprattutto in campo interventistico, da quel tempo ha compiuto passi da gigante. L’avvento degli stents e delle nuove molecole farmacologiche ci hanno permesso di affrontare situazioni cliniche sempre più complesse e acute. L’angioplastica nell’infar to miocardico acuto è diventata l’opzione terapeutica più efficace. Si sono affermati i trattamenti endovascolari per le patologie periferiche e aortiche e per le cardiopatie valvolari e strutturali.
Lei in qualche modo viene riconosciuto in Puglia come un caposcuola del settore…
Dall’inizio della mia attività io e la mia equipe abbiamo eseguito 46.000 procedure diagnostiche e 20.000 interventi. Una media di tre al giorno. Abbiamo utilizzato, primi in Puglia, metodiche come l’ecografia intravasale o il doppler intracoronarico che oggi fanno parte del patrimonio culturale dell’interventistica coronarica. Oltre alle coronaropatie trattiamo da anni tutte le manifestazioni della malattia aterosclerotica, con ottimi risultati nel trattamento delle arteriopatie degli arti inferiori, della patologia carotidea, degli aneurismi aortici toracici e addominali. Abbiamo eseguito studi clinici che hanno portato alla stesura di pubblicazioni scientifiche alcune delle quali sono state le più citate nella letteratura internazionale della storia della cardiologia pugliese. Nel corso degli anni un gran numero di colleghi ha frequentato, a vario titolo, il nostro centro maturando l’esperienza che oggi hanno trasferito nella maggior parte dei laboratori della nostra regione e non solo. Con tutti loro, indistintamente, abbiamo condiviso il nostro lavoro e le nostre tecniche, e la loro amicizia e riconoscenza ci fa credere, nel nostro piccolo e con tutti i nostri limiti, di aver “fatto scuola” a nostra volta.
Come sono cambiati in Puglia gli indici di sopravvivenza per l’infarto rispetto a venti anni fa?
In Puglia, come nel resto d’Europa, si è assistito ad una progressiva riduzione della mortalità per infarto. Dal 25-30% di mortalità nel primo mese registrata prima dell’avvento delle Unità Coronariche, si è passati al 16%. La trombolisi ha ridotto ulteriormente la mortalità al 9% circa, mentre con l’angioplastica primaria si può arrivare al 4%. Bisogna dire però che tali valori si riferiscono solo ai pazienti che riescono a raggiungere gli ospedali e che oltre la metà dei decessi sono ancora oggi nel periodo di tempo che intercorre tra l’esordio dei sintomi ed il ricovero.
Eppure in Puglia manca ancora oggi una rete per l’infarto che invece funziona in quasi tutte le regioni italiane…
La rete per l’infarto ha una duplice importanza poiché da un lato garantisce la possibilità di eseguire l’angioplastica ad un maggior numero di pazienti, e dall’altro, riduce il tempo pre-ospedaliero che è quello in cui avvengono tuttora la maggior parte dei decessi. Un 118 ben organizzato, anche attraverso la tele cardiologia già diffusa e presente da tempo in Puglia, può permettere di raggiungere l’obiettivo di curare al meglio l’infarto miocardico come avviene in quasi tutte le parti del mondo occidentale, riducendo così di oltre il 50% la mortalità. Ma è chiaro che per ottenere risultati di eccellenza servirebbe una rete per l’infar - to ben strutturata. E questo in Puglia ancora manca.
Lei è anche un deputato della repubblica, sebbene sia nota la sua scarsissima frequentazione del parlamento. Quanta colpa ha la politica se la sanità funziona ancora male?
La politica deve solo dare gli indirizzi di politica sanitaria, ma non deve più gestire direttamente le aziende sanitarie né nominare direttori generali, direttori sanitari e direttori amministrativi, che devono essere scelti tra le persone più competenti nella materia e non per le appartenenze politiche. Pianificazione sanitaria, progettazione di complessi ospedalieri, concorsi, forniture di attrezzature devono essere di competenza di professionisti del settore e non di funzionari assoggettati alla politica. In ogni caso, come in qualsiasi parte del mondo, tutte le figure decisionali, a qualunque livello, devono rispondere direttamente delle scelte, compresi i primari che in questo modo dovranno preoccuparsi solo dei risultati e non di compiacere il politico di turno.