BARI - L’Italia del dopo Berlusconi può ripartire dal trio di Vasto. Da quella foto, scattata nella località abruzzese, con Bersani, Di Pietro e Vendola, a incornicare il nuovo Ulivo. Con un codice di lealtà, sottoscritto per evitare gli errori del passato. Il governatore della Puglia ha le idee chiare su sinistra e governo. Ne parla durante la presentazione del libro del giornalista della Gazzetta, Michele Cozzi, («Meno male che Silvio c’era), che mette a confronto le due anime della sinistra, quella di Bersani e quella del leader di Sel. Moderatore il direttore responsabile de La Gazzetta del Mezzogiorno, Giuseppe De Tomaso.
Vendola parte da lontano, dall’onda lunga, dice, della rivoluzione conservatrice reaganiana, che a suo parere, ha generato la neodestra «colpevole di aver portato il mondo sull’orlo della catastrofe». Ma la Bce bacchetta l’Italia, pretende regole e riforme. Osserva Vendola: «Oggi i diktat economici sono inconciliabili con la democrazia. In Italia con la rivoluzione liberista, non liberale, sono state smantellate le funzioni essenziali dello Stato. Il mercato imperversa, comanda su tutto, ci condiziona. L’Antico continente si sta squagliando. L’Europa c’è, esiste, se diventa un paradigma di socialità, di culture: l’unione non si fa solo con una moneta». Che fare allora? Punto di partenza può rivelarsi l’alleanza di Vasto «da allargare discutendo con il variegato mondo dell’indignazione e con i moderati, in modo da consentire una gigantesca operazione di cambiamento».
E la riforma delle pensioni? Vendola non ci sta. Eccolo: «Con la consueta superficialità si riaccende il dibattito sulle pensioni e sull’aumento dell’età pensionabile, invece di adottare misure serie come la patrimoniale, la tassazione delle grandi rendite finanziarie, il ripensamento radicale della distribuzione del carico fiscale verso l’alto, il taglio delle spese militari». In sintesi. C’è spazio per un diverso welfare, visto come «benzina da immettere nel motore economico: in Puglia conta il 12% dello sviluppo rispetto al 5% del Nord». Ecco perché per Vendola «l'idea che bisogna continuare a smantellare servizi sociali e ad intervenire sul reddito dei ceti popolari e medi è drammatica e produce un rischio di crisi verticale della coesione sociale».
Servirebbe, a suo parere, un’operazione di perequazione sociale perchè il rigore finanziario si può fare solo attraverso la giustizia sociale, altrimenti è puro sadismo sociale. L’appello del governatore punta alla mobilitazione per una sinistra «ideologica, senza etichette, protagonista di un riformismo radicale». E se Berlusconi cadesse? Non ci sono dubbi: « L’unica soluzione è un incarico transitorio al presidente del Senato, che possa contare su una maggioranza diversa, fatta da Pdl e centristi, senza la Lega, in modo da chiudere momentaneamente la partita del debito pubblico. Poi, elezioni anticipate il 15 aprile».
Sulle primarie, Vendola ripete il suo punto di vista: «Non è un metodo, è sostanza. Lo scompaginamento sarà la mia vittoria. Non esistono pedigree giusti o sbagliati. Per Matteo Renzi provo simpatia umana ma anche antipatia politica per quello che dice: non rottamerei mai gli esseri umani, ma le stagioni della politica. Con Pierluigi Bersani sono più in sintonia. Io sono importante perché con la mia presenza garantisco che le primarie siano vere, non finte. Chi le vincerà avrà la legittimità forte per prendere lo scettro del dopo Berlusconi». Infine, la questione del «centro» del quadro politico, croce e delizia di politologi e politici. Per molti qualcosa di più di un semplice punto di riferimento: «La formula magica che si vincono le elezioni pescando al centro, non funziona più: i moderati hanno perso il loro peso. Quella che era la rappresentazione politica della cultura del ceto medio ha conosciuto uno stop drammatico alle proprie capacità di crescita e sente il vento della povertà. Rispetto all’attuale maggioranza, magari ci fosse la Dc di una volta».