«Il centrodestra in Puglia se la può giocare. Decaro pensa di aver già vinto ma non è così: se tanti pugliesi andranno a votare allora la partita sarà aperta. E la Lega punta al massimo storico di consenso». Non si nasconde Matteo Salvini, vicepremier e ministro dei Trasporti, ieri a Bari per sostenere il candidato conservatore alle Regionali Luigi Lobuono. Fra l’evento mattutino di partito e il comizio pomeridiano con gli altri big del centrodestra, il leader del Carroccio è stato ospite della redazione della Gazzetta, intervistato dal direttore Mimmo Mazza.
Completo spigato e cravatta blu, Salvini si muove a tutto campo: dalle Regionali all’ex Ilva, dalla Manovra al Ponte sullo Stretto. Ma l’attacco è sul voto: «Non comincio mai una partita dandola per persa - incalza - soprattutto se penso alla sanità pugliese, alle liste d’attesa, alle lamentele continue dei cittadini. Si può fare molto». Inevitabili le stoccate a Decaro («peseranno le liti con Vendola ed Emiliano») e i riferimenti alle recenti vicende giudiziarie che hanno toccato la città. Da cui l’annuncio perentorio di un leghista in ogni seggio: «Diciamocelo, qualche dubbio di trasparenza il sistema Bari ce l’ha dato...», afferma in mattinata. Poi, durante l’incontro alla Gazzetta, smussa gli angoli: «No, non pensavo ai brogli. Diciamo che le legge elettorale è complicata e magari un po’ di confusione ai seggi può esserci (sorride, ndr)». Sul voto, però, pesano l’ombra dei sondaggi e la percezione di una vittoria quasi annunciata del centrosinistra, scomodi compagni di viaggio (eufemismo) in una campagna elettorale partita in ritardo. «Dove la sinistra governa da 20-25 anni - spiega Salvini - ramifica un sistema di potere fin dalle radici. In Veneto e in Lombardia il centrodestra non lo fa, c’è un sistema aperto dove chi merita va avanti. Diciamo che dove governa il Pd non funziona sempre in questo modo».
La battaglia locale scivola via così, tra l’invito ad accogliere cittadini e tifosi nella gestione del Bari calcio (ne riferiamo nello Sport, ndr), l’annuncio bellicoso di un nuovo decreto immigrazione-sicurezza («via dalle palle gli immigrati che non rispettano l’Italia») e un passaggio al veleno sul caso Open Arms per il quale Salvini fu processato e poi assolto: «Se fossi stato uno del Pd di Bari mi avrebbero dato il Nobel...». È l’anticamera per le riflessioni di carattere nazionale di più ampio respiro. C’è la Manovra, innanzitutto, che per il vicepremier si può ancora modificare, allargando la platea della «rottamazione definitiva che stralcerà milioni di cartelle». Punti fermi, nel frattempo, «l’orgoglio leghista per aver abbassato le tasse a 13 milioni di lavoratori» e il contributo, di quasi dieci miliardi, ottenuto da banche e assicurazioni. «Vorrei proprio sapere cosa ne pensa il segretario della Cgil Maurizio Landini - attacca Salvini -, nel frattempo gli confermo che non ci sarà nessuna patrimoniale».
Altro capitolo, naturalmente, quello dei trasporti. Incalzato dal direttore Mazza, il ministro chiude il cerchio delle infrastrutture e dell’acciaio saldandoli nello stesso ragionamento: «L’Italia ha oltre 200 miliardi di euro di cantieri in lavorazione. Ci servono acciaio e cemento. Non vorrei che, tra normative e demenziali blocchi europei, dovessimo importare quanto ci serve dall’estero». Evidente il riferimento alla vertenza ex Ilva, per la quale Salvini chiede un tavolo a Taranto, loda le bonifiche dell’Autorità portuale, punta sulla nave rigassificatrice ma soprattutto entra nel dibattito sulla nazionalizzazione: «Il ministro Urso dice che la Costituzione non ci permette di nazionalizzare - osserva -. Ma il buon senso ci impedisce di desertificare. Lo Stato deve dire la sua e poter intervenire».
Parlare di cantieri, anzi di «rinascimento infrastrutturale», come da sua definizione, vuol dire tirare dentro la Napoli-Bari («a lavori ultimati ci vorranno due ore»), ma anche la Maglie-Leuca, la Statale 100, la 106 che collega la Calabria alla Puglia. E la possibilità di accorciare, in autostrada e in ferrovia, il percorso da Bari a Lecce, priorità di cui parlerà col prossimo governatore. Ma, prima di ogni altra cosa, il Ponte sullo Stretto, la madre di tutte le battaglie di Salvini che legge «nella più importante opera pubblica in cantiere in Occidente» un catalizzatore per convincere i giovani a rimanere al Sud: «D’accordo i tempi, i costi, i riflessi produttivi ma la cosa più importante è che il ponte creerà 120mila posti di lavoro, facendo del Mezzogiorno un modello di innovazione e ingegneria moderna. La sinistra di giovani parla o li utilizza in piazza, noi forniamo loro opportunità concrete. Speriamo solo - conclude - che per motivi ideologici qualcuno non neghi una possibilità che non ripasserà più».

















