Sono i vigneti 4.0 i primi ad aver sfidato e vinto la siccità. Il risultato è stato raggiunto attraverso una nuova tecnica, portainnesti M, messa a punto dal gruppo di ricerca dell’Università di Milano, guidato da Attilio Scienza e Lucio Brancadoro. Con il supporto di «Winegraft», la società che riunisce nove tra le aziende vitivinicole più importanti del Paese: Ferrari, Zonin, Banfi Società Agricola, Armani Albino, la pugliese Cantina Due Palme, Claudio Quarta Vignaiolo, Bertani Domains, Nettuno Castellare, Cantine Settesoli. Si tratta di radici su cui vengono innestati i vitigni, dal Cabernet al siciliano Nero D’Avola, che ora fungono non più solo come barriera contro siccità e calcare ma quale veicolo per una qualità superiore dei vini. Una nuova tecnica colturale, quindi, messa a punto dopo venti anni di sperimentazioni in dieci distretti vitivinicoli, dal Piemonte alla Sicilia, che guarda letteralmente alla radice del problema con prodotti di migliorata qualità e con un risparmio idrico che può arrivare a essere pari a due volte e mezzo il Lago d’Iseo, considerando le viti della sola Lombardia. Una innovazione tutta italiana che si sta diffondendo nel mondo perché può portare ad un risparmio idrico fino al quaranta per cento, con influenza positiva, è stato evidenziato nello studio, sulla qualità delle uve e quindi dei vini.
L’equipe dell’Università di Milano ha dimostrato che i “4 moschettieri”, cioè i quattro vitigni M1, M2, M3, M4, della serie M, sono in grado di portare il vitigno a migliori performance produttive in tutti i diversi aspetti che determinano la qualità dell’uva e quindi del vino: vigore e produzione del ceppo, maturazione tecnologica, fenolica e aromatica delle uve.
“Se tutti i vigneti della Lombardia fossero innestati sugli M – ha sottolineato Marcello Lunelli, presidente di Winegraft - si risparmierebbe ogni anno 426 milioni di ettolitri di acqua pari a due volte e mezzo il lago d’Iseo”. Ma oltre al netto risparmio idrico la portata di quest’ultima ricerca dell’Università di Milano sui portainnesti M, moltiplicati e distribuiti in esclusiva da Vivai Cooperativi Rauscedo in Friuli Venezia Giulia “è - commenta Lunelli - rivoluzionaria perché cambia la visione storica che abbiamo sempre avuto dei portainnesti. Non dobbiamo più considerarli solo una ‘barriera contro’ fillossera e siccità, ma come un efficiente strumento biologico per ottenere una superiore qualità dell’uva e quindi del vino”. Lo studio guidato da Scienza e Brancadoro evidenzia inoltre quanto il portainnesto influisca sull’accumulo di polifenoli durante la maturazione, aspetto determinante nella qualità dei vini rossi. Con diversi vitigni rossi - Nero d’Avola, Cabernet Sauvignon e Sangiovese - sono stati rilevati livelli più alti di polifenoli totali nelle uve, e una più accesa tonalità delle sostanze coloranti. “Abbiamo avuto conferma – ha concluso Brancadoro - di quanto i portinnesti M siano un driver decisivo per raggiungere una qualità in vigna decisiva per ottenere risultati enologici d’eccellenza”.