Il fatto è che ce ne vergogniamo quando invece dovrebbero chiederci scusa. La classifica sulla qualità della vita. Puntuale ogni fine anno come la tombolata di Natale con i tubettini per segnare ambi e terni. E classifica nella quale le città del Sud sono sempre ultime tanto da cospargersi la testa di cenere manco fosse Quaresima. Quest’anno Bari prima città del Sud (ma solo 67ma in Italia con due posizioni giù rispetto al 2024), mentre in crescita sono Matera e Potenza. Ché se poi andiamo a vedere qual è il motivo di cotanta disfatta, capiamo perché il Sud dovrebbe mettere le orecchie d’asino anche se vincesse dieci premi Nobel consecutivi.
A pesare sono soprattutto servizi e infrastrutture, per i quali davvero il Sud è in zona retrocessione. Colpa vostra, dicono i critici a gettone. Colpa nostra, dicono quei meridionali subito pronti a battersi il petto. Ma il Sud non ha servizi e infrastrutture al livello delle città gloriosamente in testa perché si è deciso in maniera deliberata che andasse così. Il merito è del meccanismo della spesa storica, cioè della spesa dello Stato in investimenti. Una spesa storica che ha sempre privilegiato il Centro Nord a danno del Sud, come confermano gli stessi ministeri interessati. E come ha confermato finanche il ministro Calderoli, uno che a occhio e croce ama il Sud come un vampiro può amare uno spicchio d’aglio. E perché questa spesa storica a una direzione? Mah, così si è sempre fatto.
Qual è allora il risultato di questo meccanismo che tratta il Sud da «diversamente Italia»? Il risultato è che i bisogni del Sud non sono mai stati calcolati. E non essendo mai stati calcolati, non sono mai stati soddisfatti. E qui non parliamo di ville al mare e di ostriche e champagne. Parliamo appunto di tutto ciò che in gran parte fa la qualità della vita. Dalla sanità alla scuola, dagli asili nido ai bus locali, dall’assistenza agli anziani a quella ai disabili. Per i quali il Sud è vittima di una violazione continua e sistematica della Costituzione (qualsiasi governo ci sia). Una violazione quasi a livelli di sovversione. Laddove l’articolo 3 dice che non ci deve essere differenza di trattamento in base alla geografia. Invece se sei di Pavia hai tutti i diritti, se sei di Foggia no. Come avviene. Nella conoscenza e consapevolezza di chi dovrebbe eliminare questa ingiustizia e diseguaglianza senza pari in Europa.
Ecco perché quando il giornale «Il Sole24Ore» manda i suoi a rilevare i dati, li manda a certificare un risultato scontato. Così sono più disonesti dei ladri del Louvre quei settentrionali che colgono ogni occasione per tacciare i meridionali di incapacità e inettitudine. E sono teneri come Alice nel Paese delle meraviglie quei meridionali che vanno al Nord e fanno la stupefacente scoperta che lì tutto (o quasi) funziona più che al Sud. E ci mancherebbe che non fosse così, con tutto ciò che lo Stato dà al Nord e non al Sud. Una classifica che è quindi figlia di una sperequazione su cui non dovrebbe reggersi un Paese civile. E una classifica che diversa sarebbe impossibile come una Meloni che amasse la Schlein (conferma dalle ultime notizie).
Ma non solo questo. Oltre che sul livello di servizi e infrastrutture (i treni, per dire) la classifica è basata su altri parametri che sono tutti economici: dai redditi ai consumi, dagli affari al lavoro. Insomma come se si vivesse di solo pane. Nel presupposto che il Sud soffra perché sarebbe un non-ancora-Nord. Ma nessuno che abbia mai chiesto ai meridionali se per caso, invece che un artificiosamente Nord, non vogliano rimanere autenticamente Sud. E se, nonostante tutto, siano più felici dei loro poco compatrioti centro-settentrionali primatisti in suicidi e in avvelenamento da ambiente. Talché si può ben dire che, se al Sud spetta il peggio, non è detto che comunque non viva meglio. E che magari ci sia più vitalità a Palermo che a Torino. E lasciamo stare il clima. E lasciamo stare uno stile di vita, una concezione dell’esistenza al Sud che tutti vorrebbero imitare, a cominciare da chi ci scende e ritrova qualcosa altrove inesorabilmente perduto. Un ben-vivere sempre ignorato dal terrorismo della contabilità.
Così funziona quella «colonialità» che è un derivato subdolo del colonialismo. Essere giudicati dal di fuori con la perdita della propria identità. Ciò che fanno simili classifiche, se alla condanna paternalistica (sperando non razzista) non si aggiungono le ragioni e i torti ignorati.
Dice: ma allora al Sud va tutto bene? Affermarlo significherebbe avere provolone negli occhi. Non va certamente bene se tanti ragazzi vanno via (insieme però ai 60 mila che ogni anno lasciano il più ricco Nord per l’estero). Ma una classifica così è solo intimidazione: siete così perché ve lo meritate. Così sono premiate certe città del Nord nelle quali chi ci abita vorrebbe solo cambiare vita. Mentre nella classifica 2025 è quart’ultima su 107 una città come Napoli che scoppia di turisti.















