Sabato 06 Settembre 2025 | 15:08

Acqua pubblica, lo stop di Fitto al trasferimento di Aqp ai Comuni: «La legge è incostituzionale»

 
Massimiliano Scagliarini

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Massimiliano Scagliarini

Acqua pubblica, lo stop di Fitto: «La legge è incostituzionale»

Il ministero degli Affari europei preannuncia il ricorso del Governo alla Consulta: «La Regione Puglia non può trasferire il controllo di Acquedotto»

Venerdì 10 Maggio 2024, 06:00

16:07

BARI - Il meccanismo disegnato dal Consiglio regionale per mantenere pubblica la gestione del servizio idrico integrato potrebbe contenere «rilevanti profili di incostituzionalità», perché non rispettoso degli (stretti) vincoli di legge in materia di affidamento in-house. È questa la contestazione con cui il ministero degli Affari regionali si prepara a chiedere a Palazzo Chigi l’impugnazione della legge 14 del 28 marzo, approvata su proposta di Fabiano Amati (Azione) per superare uno stallo lungo ormai quasi dieci anni.

La concessione di Acquedotto Pugliese per la gestione del servizio idrico integrato scade nel 2025. Rispetto a questo termine la legge consente tre alternative (l’affidamento diretto, la gara d’appalto o la società mista), due delle quali implicano la possibilità di un ingresso dei privati nella gestione. Il servizio idrico (così come i rifiuti) è nella titolarità dei Comuni tramite l’ente d’ambito (che in Puglia si chiama Aip), mentre Aqp è proprietà della Regione: in questa situazione non è dunque consentito l’affidamento diretto. Da qui l’idea contenuta nella legge 14: creare una società veicolo e trasferire il 20% delle azioni di Aqp ai Comuni che si obbligano a loro volta a trasferirle alla società veicolo. Quest’ultima finisce però sotto il controllo di tutti i Comuni pugliesi (anche di quelli non proprietari) tramite un comitato di indirizzo. Un meccanismo complesso, pensato per coinvolgere tutti e 257 i Comuni pugliesi (anche quelli che non sono d’accordo rispetto al percorso di mantenimento del servizio pubblico). E che servirebbe, in sostanza, a mettere nelle mani dei Comuni una quota di controllo di Aqp così da legittimarli a procedere all’affidamento in-house del servizio.

La Puglia è da vent’anni ferma sulla linea della gestione pubblica dell’acqua. L’ambito pugliese è il mercato unico più importante d’Italia, con 4 milioni di abitanti (che diventano 6 in estate), ed è dunque presumibile l’interesse dei grandi player internazionali a partecipare a una eventuale gara d’appalto. Da qui il tentativo, che dura da oltre dieci anni (nel 2011 ci provò Vendola, che fu fermato dalla Consulta), di trovare una soluzione per lasciare la gestione dell’acqua nelle mani di Aqp.
Ma secondo il parere del capo dell’ufficio legislativo degli Affari regionali, guidato dal ministro Raffaele Fitto, nella legge 14 ci sono almeno due problemi. Il primo è che in base al decreto del 1999 (quello che ha trasferito la proprietà di Aqp), le azioni di Acquedotto sono «imbullonate» alla Regione e dunque «la modifica della composizione della compagine sociale può essere definita solo con disposizione inserita in una legge dello Stato».

Il secondo tema riguarda proprio i requisiti previsti dalla normativa europea per aggirare l’obbligo di gara d’appalto: il servizio deve essere gestito da un soggetto totalmente pubblico, controllato dagli enti pubblici come se fosse un proprio ufficio. Il ministero ritiene che il meccanismo del comitato di coordinamento inserito nella legge regionale 14 non sia sufficiente a qualificare la società veicolo come società in-house di tutti i Comuni pugliesi, e dunque che non si possa procedere per questa via all’affidamento diretto. Anche l’ufficio legislativo del ministero della Giustizia ha avanzato propri rilievi di incostituzionalità della legge 14, suggerendo di chiedere un parere all’Autorità garante del mercato.
L’iter prevede ora una interlocuzione informale del Dipartimento affari regionali di Palazzo Chigi con la Regione, per capire se esiste la volontà di recepire i rilievi ministeriali prima di attivare l’impugnativa: in questo caso si tratterebbe però di abrogare la legge. L’alternativa, appunto, è finire davanti alla Corte costituzionale. Ma nel frattempo, esattamente come accaduto con i rifiuti e la newco Aseco (operazione impugnata dall’Antitrust davanti al Tar), la Regione non potrà partire e dovrà pensare a una soluzione diversa.

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