BARI - Orari scomodi, part-time imposto, festivi obbligatori ma pagati poco, garanzie sempre più sfumate in un settore quello della Grande distribuzione organizzata che, in Puglia come altrove, tende a chiedere sempre di più ai propri dipendenti, offrendo però sempre meno garanzie.
Eppure quello della Gdo che, progressivamente ha preso il posto dei negozi tradizionali e dei singoli supermercati rappresentandone l’evoluzione in chiave moderna, è un settore molto importante che offre lavoro a moltissime persone: nel Tacco d’Italia sono oltre 20mila gli occupati nei circa 4mila punti vendita tra supermercati, ipermercati, superstore e discount, disseminati dal Gargano al Salento. Dei quattromila punti vendita, la stragrande maggioranza, ben oltre 3.500 fanno riferimento a insegne associate a Federdistribuzione che riunisce e rappresenta le aziende della distribuzione moderna, alimentare e non alimentare, che operano con reti di negozi fisici e attraverso i nuovi canali digitali. Le imprese associate a Federdistribuzione realizzano un giro d’affari di oltre 83,2 miliardi di euro, con una quota pari al 54% del totale fatturato della Distribuzione moderna alimentare; hanno una rete distributiva di 19.500 punti vendita in tutta Italia, di cui oltre 7.600 in franchising, danno occupazione a più di 240mila addetti e rappresentano oltre il 32% del valore dei consumi commercializzabili.
Ma, a differenza di quanto avvenuto qualche settimana fa con il rinnovo dei contratti nazionali Tds e Distribuzione cooperativa, le lavoratrici e i lavoratori a cui si applica invece il contratto nazionale della Distribuzione moderna organizzata Federdistribuzione hanno rivendicato, e continuano a rivendicare, un rinnovo del contratto nazionale dignitoso fermo al 2019. Per questo motivo, lo scorso 30 marzo, i dipendenti della Gdo aderenti a Filcams Cgil, Fisascat Cisl e Uiltucs hanno incrociato le braccia e ulteriori ulteriori 8 ore di sciopero sono state indette a livello territoriale e la mobilitazione proseguirà fino a quando non sarà rinnovato il contratto.
«Federdistribuzione è l’unica parte datoriale che ha tentato di peggiorare le condizioni dei lavoratori con un pesante intervento sulla classificazione del personale, con inevitabili ricadute sul salario, e con richieste derogatorie alla regolamentazione dei tempi determinati volte ad una precarizzazione delle condizioni di lavoro» hanno affermato le tre sigle del terziario in una nota.
Ma in Puglia, qual è la situazione dei dipendenti della Gdo?
«Il vulnus della contrattazione è stare nella gestione dei tempi, nella conciliazione dei tempi di lavoro e di vita. In questo senso l’approccio deve essere dare un valore alle persone e ai tempi di lavoro», spiega Luigi Spinzi, segretario generale Fisascat (Federazione italiana sindacati addetti servizi commerciali, affini e del turismo) Puglia.
«Abbiamo in Puglia una Gdo in cui oltre il 50% dei lavoratori è part-time involontario con clausole di flessibilità, cioè la possibilità di spostare la prestazione o dilatarla a seconda delle necessità. In alcuni casi queste condizioni sono portate all’estremo fino a casi in cui i lavoratori riescono a stento ad avere la pianificazione settimanale dell’orario di lavoro e, ovviamente, questo crea difficoltà nella gestione della proprie vite personali». «Occorre dare valore ai talenti: noi diciamo sempre che il talento non ha prezzo, e quindi investire nelle risorse rimane è il salto di qualità che bisogna fare. In un settore dove l’incidenza del lavoro femminile è maggiore - la Grande distribuzione, le cooperative sociali, la ristorazione collettiva - molto spesso un tema di discussione è il part time involontario, dove la scelta del tempo di lavoro è dettata da non dalla volontarietà ma dall’imposizione. Da questo punto di vista il dibattito all’interno della nostra organizzazione, come Cisl in primis e come Fisascat, è sempre aperto».
Insomma, precarietà, fragilità, sfruttamento: sono diversi tasselli che compongono il puzzle di un settore che, pur facendo parte della nostra quotidianità, è conosciuto poco al proprio interno.
«Il rapporto con il lavoro è cambiato ovunque - continua il referente di Fisascat Puglia - La grande distribuzione non fa eccezione. Gli orari giornalieri impongono una dose di flessibilità in entrata e in uscita che molti giudicano eccessiva. Fine settimana e festività lavorative non attirano, non solo i giovani. E a questo aggiungiamo il salario: chi ha una busta paga di 600, 700, 800 euro al mese (il salario previsto dalla contrattazione di primo livello) perché è un part-time, significa mettere nelle condizioni queste persone di cambiare totalmente la vita in peggio. Ovviamente non è così ovunque. Ci sono gruppi che hanno una contrattazione integrativa, altri che attuano forme di welfare o che applicano sistemi premianti solo ad alcuni lavoratori».
Quindi sul piatto ci deve essere anche altro
«Sicuramente - risponde il segretario generale Fisascat Puglia, Luigi Spinzi - Dalla formazione al welfare aziendale, ai percorsi di carriera. Bisogna lavorare oltre che ad un bilanciamento diverso tra lavoro e vita privata anche sulle competenze e sulle professionalità degli addetti per creare le condizioni affinché l’intero settore diventi più appetibile e per convincere il cliente stesso a restare il più a lungo possibile nel punto vendita».