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Aumentano in Puglia i neonati abbandonati

 
Gianpaolo Balsamo

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Gianpaolo Balsamo

Aumentano in Puglia i neonati abbandonati

Focus sui casi dei «trovatelli», Laforgia (Policlinico Bari): è possibile il parto in anonimato

Mercoledì 17 Gennaio 2024, 09:00

BARI - Quello di Lorenzo, il neonato che sabato sera è stato abbandonato in un sacchetto di plastica vicino ai bidoni dell'immondizia in un vicolo di Villanova Canavese nel Torinese, è solo l’ultimo triste caso di un fenomeno, quello dei «trovatelli», tanto antico quanto triste da accettare: neonati che vengono rifiutati subito dopo la nascita.

In Puglia sono recenti gli ultimi casi: quello di Maria Grazia, addirittura, risale allo scorso 23 dicembre. La bimba fu lasciata nella chiesa di San Giovanni Battista di Bari nel quartiere Poggiofranco. La parrocchia retta da don Antonio Ruccia ospita da quasi dieci anni una culla termica creata per dare aiuto alle madri in difficoltà. Le altre culle per la vita in Puglia si trovano a Taranto, sulla parete esterna dell’ospedale «Santissima Annunziata» e presso il Convento di San Francesco da Paola di Monopoli.

Lo scorso mese di agosto, invece, una donna abbandonò Lorenzo poco dopo il parto, accanto ai cassonetti della raccolta differenziata a Taranto. Una badante georgiana di 24 anni ha poi chiesto e ottenuto il riconoscimento di maternità. Andando a ritroso, invece, a luglio 2020 un altro neonato, Luigi, fu lasciato sempre davanti alla chiesa di San Giovanni Battista a Bari. Il locale parrocchiale appositamente allestito e facilmente accessibile, permette di lasciare il neonato in pieno anonimato. Accanto un biglietto: «Mamma e papà ti ameranno sempre». E poi c’è l’abbandono di Giovanna (nome di fantasia) subito dopo la sua nascita, avvenuta il 5 luglio 2020: una neonata partorita all’interno dell’ospedale «Mons. Raffaele Dimiccoli» di Barletta ma non riconosciuta dalla madre a causa del suo precario stato di salute. Una «possibilità» consentita in Italia come conferma il prof. Nicola Laforgia, direttore di Neonatologia e terapia intensiva neonatale del Policlinico di Bari.

Prof, Laforgia, cosa prevede la legge?

«Il Dpr 396/2000, art. 30, comma 2 prevede che si possa partorire in ospedale in totale anonimato. Il nome della madre rimane per sempre segreto e nell’atto di nascita del bambino viene scritto “nato da donna che non consente di essere nominata”. Questo consente di offrire totale assistenza a gestante e neonato, allo scopo di evitare ogni tipo di complicanze che possono insorgere al momento del parto e che possono mettere a rischio la vita della donna e del neonato».

Perché, secondo lei, sempre più spesso si ricorre all'abbandono dei bambini?

«Io non credo si ricorra più spesso, almeno i dati locali e nazionali non lo dimostrano. Non abbiamo dati certi, anche perché manca un registro nazionale e molti casi potrebbero restare nascosti, proprio per i gesti estremi che si cerca in ogni modo di evitare. I motivi che possono sottendere a quello che non va definito come “abbandono”, ma piuttosto come un affido, quando si ricorra al parto in anonimato o alla culla per la vita, come nell’ultimo caso da noi, possono essere diversi e bisogna affrontare queste problematiche con molta sensibilità e capacità di ascolto, senza pregiudizi. Non vi è dubbio che chi prende questa decisione viva la sensazione di non essere adeguata ad affrontare la crescita di un figlio, per ragioni che non sono sempre e solo economiche».

Immagino che di storie di bambini abbandonati ne avrà viste diverse. Ricorda qualcuna in particolare?

«Proprio in relazione a quanto detto prima, e cioè di “affidi” da parto in anonimato che sono capitati da noi, neonati con problematiche di salute anche impegnative hanno trovato famiglie fantastiche che hanno consentito e consentono loro una vita che non avrebbero potuto avere. Non faccio nomi per ovvie questioni di privacy. Vorrei concludere con un invito a diffondere quanto più possibile l’informazione circa la possibilità di parto in anonimato in ospedale, dove peraltro si può ricevere aiuto da parte dei Servizi sociali e a condividere il messaggio di non ergersi a improvvisati “giudici” di situazioni che non conosciamo e che, sicuramente, lasciano in chi le vive ferite profonde. Tuteliamo e aiutiamo chi è in difficoltà, senza imposizioni preconcette. Bisogna incentivare i servizi a tutela della donna in difficoltà e occorre sostenerle, accompagnarle, informarle affinché le loro scelte siano libere e consapevolmente responsabili».

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