MOLFETTA - Trent’anni dopo, i messaggi sono di una attualità disarmante. Guerra, popoli in fuga, diseguaglianze: i grandi dolori di don Tonino Bello popolano drammaticamente i nostri giorni. A Molfetta, dove fu vescovo «rivoluzionario», il giorno della sua morte (o meglio nel «dies natalis») viene celebrato non solo dalla comunità ecclesiastica ma da un’intera comunità. Ognuno da queste parti ha un ricordo personale del «vescovo degli ultimi», una parola, un gesto, un episodio, qualcosa di intimo ed esclusivo. Per ripercorrerne i passi e la memoria, ieri a Molfetta, è arrivato anche il cardinale Matteo Maria Zuppi, presidente della Cei. «Una donna mi ha raccontato che rimaneva per ore e ore all’interno del Duomo - dice il cardinale - per ascoltare le persone, per accogliere, aiutare, e per ascoltare la voce di Dio».
Inevitabile parlare di guerra. Zuppi rievoca il pellegrinaggio di don Tonino a Sarajevo: era il 1992, lui era già malato di cancro, sarebbe morto alcuni mesi dopo, ma a piedi percorse la strada che entrava nel cuore della città devastata dal conflitto balcanico. Invocava la pace, predicava il dialogo. «Viviamo la stessa emergenza. Non si può assistere alla guerra senza darci da fare, senza interrogarci» commenta Zuppi incontrando i giornalisti prima dell’affollatissima messa celebrata nel Duomo di Molfetta. Il presidente della Cei rievoca anche la straordinaria esperienza dell’accoglienza: proprio dai Balcani iniziarono le prime moderne ondate migratorie, don Tonino aprì anche le porte del Duomo per dare ospitalità. Attuale, attualissima la sua opera. «Ha aperto le porte del cuore e di casa a chi aveva più bisogno», conferma Zuppi accompagnato nei luoghi del «vescovo degli ultimi» da monsignor Domenico Cornacchia, vescovo della diocesi di Molfetta, Ruvo, Giovinazzo e Terlizzi, che il cardinale affettuosamente chiama «don Mimmo»...
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