Più che un’emergenza covid è un’emergenza continua. Dove anche solo uscire con gli amici è un lusso che non puoi permetterti con facilità. E poco c’entra quel virus che sta costringendo il mondo a rivedere abitudini e tradizioni. Per chi soffre di una malattia rara prudenza, attenzione, contatti limitati sono la quotidianità. Sono una costante fatta di rinunce, spirito di sacrificio e coraggio. Tanto coraggio. Una sfida vissuta ogni giorno. Da soli o con il sostegno di familiari e amici. Comunque, sempre in prima linea. Giulia Motola, responsabile del Coordinamento malattie rare in Basilicata, è un medico che, da anni, sta provando a dare risposte a questi pazienti ed ai loro familiari. Un lavoro giornaliero, svolto con la consapevolezza di chi conosce, da vicino, le difficoltà dei malati «fragili», e con la tenacia, di chi prova a dare soluzioni. Anche in tempi di pandemia. «Siamo quotidianamente a contatto con i malati rari e cerchiamo di risolvere i problemi di assistenza protesica e farmaceutica - racconta la dottoressa Motola - non li abbiamo lasciati un attimo. Ci siamo fatti aiutare dalle cure domiciliari quando e dove c’è stata la necessità, per non farli andare in ospedale. Al tavolo interregionale sulle malattie rare, poi, abbiamo discusso dei problemi da affrontare in tempi di covid: il risultato è stato un documento in cui diciamo al Ministro che abbiamo i malati rari che necessitano subito dei vaccini. Il Ministro si è dichiarato disponibile.
Dobbiamo vaccinare questi pazienti, perché dobbiamo renderli liberi. Ci sono pazienti rari, ad esempio, con problemi respiratori che portano con difficoltà la mascherina».
Vaccinazione: una parola che lega le storie dei 3800 pazienti rari che vivono in Basilicata. Un vocabolo che racchiude la speranza ma anche l’ansia di fare presto, perché ci sono giovani e bambini, le cui condizioni rendono se non impossibile quanto meno difficoltoso effettuare test diagnostici, utilizzare dispositivi di protezione, mantenere il distanziamento sociale.
Gerardo Laurenzana è il delegato territoriale dell’ associazione «Parent project aps» che si occupa di distrofie muscolari, ma soprattutto è il padre di Antonio, 18 anni, studente del Liceo delle Scienze Umane di Potenza, affetto da una sindrome rara. Ed è per lui, per consentire a suo figlio di riprendere la quotidianità, che chiede di accelerare sulle vaccinazioni.
«Siamo stati attenti a non portare il virus a casa - spiega - Siamo stati attenti, anche perché non ci siamo potuti assentare dal lavoro. Antonio ha reagito bene, ha affrontato le difficoltà ed avendo problemi motori sentiva gli amici al telefono. L’assistenza non si è mai fermata, tranne il primo mese. Antonio ha continuato a fare tutto. Il problema, però, è che serve il vaccino: bisogna farlo ai ragazzi ed a chi li assiste. È una cosa fondamentale, Devono essere vaccinati perché hanno voglia di riprendere la loro vita e la loro quotidianità»
Si la quotidianità. Quella stravolta dal covid, quella che spinge anche questi ragazzi e bambini non solo a dover avere mille precauzioni per sé ma anche per i propri cari. È quello che spinge Sara, 11 anni, anch’ella affetta da una malattia rara, a controllare che il nonno, Carmine Rosa, stia sempre attento ed esca il meno possibile. «Indubbiamente il covid ha complicato le cose. Le visite si sono diradate e quando la mia nipotina, che è straordinaria, ha capito che ero io, ultra80enne, a correre i pericoli più importanti ha smesso di telefonarmi ed ha iniziato a farmi le video chiamate per vedere se ero a casa» ricorda nonno Carmine. «Ora vuole uscire sempre e costringe la mamma a fare lunghe passeggiate - sottolinea - e rispetto al virus ha un atteggiamento tranquillo perché sostiene di conoscere i segreti per non avere il covid. Intanto, aspetta che io mi vaccini, come previsto domenica»
Soffrire di una malattia rara, spesso, significa anche dover «macinare» chilometri per curarsi, dover stare fuori casa per visite e controlli. Un problema nel problema, in particolare in tempi di pandemia. Ne sa qualcosa Carmelo Giannetto componente del direttivo dell’Associazione Italiana «Famiglie Von Hippen Lindau» di Lauria, lui stesso affetto da questa rara sindrome. «Ho dovuto rinviare qualche controllo - dice - però, la cosa che mi è pesa di più è che la prevalenza delle mie visite viene effettuata fuori regione e questo ha aumentato la paura di contrarre il virus. Fortunatamente, non ho avuto troppi ritardi perché i miei esami erano programmati in un periodo in cui si coprivano le esigenze dei pazienti, ma il problema è che, in questo tempo di covid, ci servirebbe un quadro chiaro delle vaccinazioni. E poi servirebbe avere la certezza che i follow up periodici non vengano rinviati a causa della pandemia. Bisogna lavorare su questo e bisogna che i reparti più importanti che ci seguono continuino ad essere operativi per garantirci l’assistenza»
Sicurezze in un tempo di insicurezza: i malati rari chiedono questo. Certezze sui controlli, sulle vaccinazioni, sull’assistenza.
Roberta Benedetto, materana, è una paziente rara ed è la vice presidente della sezione lucana di Aisa, l’associazione italiana per la lotta alle sindromi atassiche. «In realtà, vivendo questa situazione di insicurezza sempre, l’ansia l’abbiamo avuta soprattutto all’inizio quando non si conosceva bene il virus - evidenzia -, Non abbiamo vissuto, invece, il peso della chiusura forzata. Siamo abituati ad essere soli, anche se abbiamo una cerchia di amicizie. Siamo abituati ad avere limitazioni: se i nostri amici vanno a ballare noi non possiamo. C’è sempre una mancanza da affrontare. Il problema maggiore è il vaccino - continua - stiamo vivendo giorni di insicurezza perché non capiamo quando, con patologie rare, riusciremo a vaccinarci. C’è, poi, il tema dei controlli: li facciamo ma dobbiamo spostarci. Ad esempio, io vengo a Potenza e per me è molto difficoltoso»
Difficoltà: parola che torna e ritorna nelle ricostruzioni di questi pazienti e di chi è loro vicino. Difficoltà vissute prima ed acuite da lockdown ed epidemia. Tonia Orlando, mamma di Ilaria, una ragazza di 20 anni affetta da una sindrome rara, e presidente dell’associazione «Viviamo Insieme - Famiglie e Amici ragazzi speciali» ricorda così i giorni del lockdown.
«È’ stata dura perché è stato difficile capire come aiutare i nostri ragazzi chiusi a casa. Senza scuola e senza poter fare attività come associazione - evidenzia - i genitori che lavoravano non avevano, poi, la possibilità di lasciare i figli a casa, da soli, e non avevano il sostegno . Molti genitori hanno rinunciato al lavoro. Ora siamo di nuovo chiusi in casa, non tutti riescono a seguire la dad e non possono avere l’aiuto di un educatore. Il sostegno di un educatore è importante, lo chiediamo - conclude - e vorremmo anche che i nostri figli ed i loro familiari fossero vaccinati il più presto possibile per poter tornare a uscire». Per tornare a rivivere una quotidianità fatta di coraggio ma anche di rinunce.