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Nel Potentino
Mariapaola Vergallito
04 Dicembre 2020
Nicola Amendolara è un ragazzo di Senise di 29 anni. Anzi, gli anni li ha compiuti proprio ieri, 3 dicembre, che era anche la Giornata Internazionale dedicata alle disabilità. Ha tante passioni, ma fin da giovanissimo si è dato da fare nel mondo del lavoro, nel ristorante di famiglia. Una passione, la sua, che lo porta a frequentare a Potenza l’Istituto Alberghiero.
Nel 2009 Nicola aveva 17 anni. E la storia che ci racconta comincia proprio in quell’anno. «Il 5 febbraio del 2009 mi trovavo a Potenza, in convitto. Cominciai ad avere una brutta febbre, che non riusciva a scendere. Tutte le medicine che assumevo non servivano perché rigettavo tutto. Assieme alla febbre mi arrivò un mal di testa fortissimo, talmente forte che avrei voluto sbattere la testa contro il muro. Tornai a casa accompagnato da mio zio. Tutti i dottori che mi visitavano pensavano si trattasse di una brutta influenza, che pure stava girando in quel periodo. Fino al 9 febbraio, quando arrivò, oltre alla febbre, anche un blocco delle vie urinarie. Ed è lì che cominciò un vero e proprio calvario».
Nicola comincia a girare gli ospedali: Chiaromonte, Policoro e poi a Matera. «Hanno capito che la vicenda stava per prendere una brutta piega- dice- e mi hanno mandato nel reparto infettivi. Il 21 febbraio, però, mi ha colpito un altro virus ancora più forte. Un virus rarissimo, da Epstein Barr, al mondo ci sono solo tre casi al mondo. E’ stata la botta più potente: mi ha paralizzato le gambe e le braccia, mi ha toccato nell’area del linguaggio, la vista, la respirazione e mi hanno messo un sondino per alimentarmi».
«Avevo i valori azzerati, la febbre era a 41,6. Per far scendere la febbre provarono anche a buttarmi addosso i cubetti di ghiaccio, ma non succedeva nulla. Mio padre non sapeva che fare. Chiamò i miei cugini, Vincenzo, Marilena e Sara e quest’ultima andò in camera mia, nella nostra casa a prendere una maglia a maniche corte. Calcola che dieci giorni prima che tutto accadesse avevo pulito in camera mia e avevo rimosso un po’ di cose che c’erano. Ma avevo lasciato, in bella vista, la mia foto della Prima Comunione con un quadro di Padre Pio che mi era stato regalato. Mia cugina, nel prendere la maglia, guardò quella foto e quel quadro. E da lì penso che non tutto accade per caso. Andarono subito a San Giovanni Rotondo con quella maglia, l’hanno fatta benedire e me l’hanno portata in ospedale, sul petto. La storia è questa: la febbre è scesa dopo pochi minuti e i valori piano piano sono risaliti». Nicola ha tanto da raccontare: perché la rinascita è lunga e difficile, ma lui ce la fa, grazie a mamma, papà (che cambia anche lavoro dopo i trasferimenti prima a Imola e poi a Lecco per la riabilitazione), la sorella Maria Lucia, tanti amici e familiari.
«Oltre alle gambe- dice- mi si erano paralizzate anche le braccia. Ma questo, proprio, non ho voluto accettarlo. Quando facevo la terapia mettevo dei pesetti in sacchetti e, piano piano, giorno dopo giorno, spostandoli e muovendoli, sono riuscito a riacquistare sensibilità alle braccia». «Tutti i giorni, a proposito di Covid, sento lamentele per cose per le quali vorrei farmi una bella risata e non lo faccio perché sono una persona educata. Cosa dovrei dire io che vivo una vita su due ruote? Anzi, quattro….! Le cose importanti e serie sono altre. Questo vorrei dire».
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