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Tamponi negati e pilotati? Interrogati medici Asp

 
Massimo Brancati

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Massimo Brancati

Potenza, quei tamponi negati e pilotati

Giornata fiume in tribunale per D’Angola, De Lisa e Manno

Martedì 21 Luglio 2020, 12:11

POTENZA - Cos’è accaduto in quella settimana dal 13 al 20 marzo? Perché la richiesta del tampone non fu eseguita con urgenza? E nel frattempo sono stati fatti altri test a persone asintomatiche? Alcuni degli interrogativi che ruotano attorno alla scomparsa del blogger potentino Antonio Nicastro, diventato simbolo delle criticità che hanno caratterizzato la prima fase dell’emergenza sanitaria sul fronte dei tamponi.

Il caso, com’è noto, è finito in un fascicolo giudiziario. Ieri interrogatorio fiume dal Pm Maurizio Cardea che ha ricostruito in maniera minuziosa ciò che è accaduto in quei giorni interrogando i tre medici dell’Asp indagati, il direttore generale Luigi D’Angola, Michele De Lisa e Nicola Manno. Tutti hanno risposto alle domande del Pm.

Nel capo d’imputazione si legge che i medici «in concorso tra loro, rifiutavano indebitamente atti del proprio ufficio che dovevano essere compiuti senza ritardo e in particolare in presenza di una situazione di sostanziale urgenza (lo stato di salute di Nicastro, da giorni con febbre e tosse) nell’atto di valutare la modalità operativa per l’effettuazione del tampone a domicilio, così come richiesto il 13 marzo dal medico di famiglia Nicola Tramutola.

Il 17 marzo fu il medico di igiene, Nicola Manno, a chiedere il test perché Nicastro presentava una sintomatologia riconducibile al Covid. Secondo l’accusa il test venne negato fino al 19 marzo, data in cui si programmò il prelievo per il 23 marzo, «rifiutando implicitamente - scrive il Pm - un atto del proprio ufficio che andava posto in essere con urgenza». Sempre secondo l’accusa, a partire dal 17 marzo e nei giorni successivi furono disposti prelievi di tampone su soggetti asintomatici e privi di link epidemiologici che, sulla scia di quanto disposto dalle circolari ministeriali e dalle stesse direttive dell’Asp, non dovevano essere anteposti a casi sospetti con criteri clinici evidenti e persistenti. Proprio come Nicastro.

L’ipotesi è contenuta nelle carte dell’inchiesta seguita direttamente dal Procuratore Capo di Potenza, Francesco Curcio. L’inchiesta, dunque, ruota attorno al teorema accusatorio secondo cui, in quel lasso di tempo, la gestione dei tamponi fu fatta in maniera discrezionale, senza tener conto dei protocolli che disciplinano la questione. Della serie, «figli e figliastri», con il diritto alla salute non proprio all’insegna della pari opportunità.

Tutto ciò accadeva nei giorni in cui, in Basilicata come nel resto d’Italia, c’era una carenza di reagenti e di tamponi, pertanto occorreva «centellinarli» La Procura, lo ricordiamo, ha fatto sequestrare telefoni e computer per verificare mail e programmi di messaggistica. Via posta elettronica arrivavano le richieste dei medici di base per i tamponi: quella di Nicastro - come ricordato dal figlio Valerio - fu inoltrata alle 9:05 del 13 marzo. Ci vollero 7 giorni perché il test fosse eseguito.

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