POTENZA - Il fatto non sussiste. Anche se i piloni del viadotto autostradale Potenza-Sicignano non erano adeguati sismicamente, non c’è alcuna responsabilità da parte di dirigenti e tecnici dell’Anas e non è affatto configurabile il reato di «attentato alla sicurezza dei trasporti».
Lo ha deciso il Gip di Potenza Rosa Maria Verrastro che ha assolto e prosciolto i gli undici dirigenti, funzionari e tecnici per cui la Procura aveva chiesto il processo, 10 dei quali avevano chiesto di essere giudicati col rito abbreviato.
Anche per questo ma non solo, l’udienza preliminare è stata insolitamente lunga, protraendosi per oltre un anno (era partita il 15 settembre dell’anno scorso), ma il giudice e i magistrati, per la loro decisione, hanno dovuto ascoltare gli oramai ex imputati che hanno offerto spiegazioni e studiare una copiosa documentazione tecnica e di legislazione di settore. Anche nel corso dell’udienza i fatti sono stati valutati alla luce dei singoli ruoli e delle singole responsabilità, che tra gli undici chiamati in causa erano molto diversificate anche se è poi emersa la comune innocenza.
La richiesta della Procura, infatti, puntava il dito contro il responsabile Coordinamento Progettazione nazionale Vincenzo Marzi (difeso dall’avv. Alessandro Sito), il capo compartimento Anas Francesco Caporaso (Avv. Francesco Rando), il responsabile Safety Pierfrancesco Savoia (avv Antonella Bona), il responsabile area tecnica progettazione di compartimento Giancarlo Luongo (avv. Angela Pignatari), lo specialista tecnico Alessandro Medici (avv.Sisto), il responsabile area tecnica di esercizio della Basilicata, Roberto Sciancalepore (avv. Raffaele Roccanova), e poi tecnici e funzionari tra cui Giuseppe Napoli (avv. Leonardo Pace), Domenico Pietrapertosa, Maria Francesca Marranchelli (entrambi avv. Donatello Cimadomo), Francesco Musto (avv. Lorenzo Travisonni) e Vito Maria Rosario Uva (avv. Mariantonietta Carnevale), l’unico a non aver chiesto di essere giudicato con il rito abbreviato ma poi ugualmente prosciolto dal Gup.
Erano accusati, per gli incarichi da ciascuno rivestiti nell’ambito degli interventi sul raccordo Potenza Sicignano per la manutenzione e il ripristino di alcuni viadotti, varato nel 2010 (e l’accusa riguardava il periodo fino all’estate 2012), di concorso in attentato alla sicurezza dei trasporti per aver posto «in pericolo la sicurezza del trasporto veicolare pubblico che si esercita sul citato Raccordo autostradale adottando, sia in fase di progettazione che in fase di esecuzione, interventi di manutenzione inidonei a garantire i livelli di sicurezza richiesti per l’esercizio della viabilità su detta arteria stradale». In particolare, per l’accusa «omettevano di programmare e disporre i prescritti e necessari lavori per l’adeguamento sismico delle strutture dei viadotti menzionati (Marmo, Torre I e Torre II, ndr) nonché di prevedere la messa in sicurezza delle pile, spalle e fondazioni, dei quali, nel corso dei sopralluoghi operati, era stato riscontrato un forte degrado e che subiranno, secondo concrete valutazioni tecniche, maggiori sollecitazioni in ragione dell’aumento di carico derivante dalla sostituzione degli impalcati, secondo quanto previsto dal progetto».
A queste accuse se ne aggiunge un altra per Marzi, Luongo, Napoli, Pietrapertosa e Uva, di cooperazione colposa in crollo di edificio perché con una condotta «consistente in imprudenza e negligenza, nonché con violazione delle norme che disciplinano gli obblighi per gli enti proprietari e concessionari di strade (...) omettevano di provvedere alla periodica attività di controllo, ispezione, manutenzione del viadotto “Serrata” (in territorio di Picerno, ndr) causando il crollo della trave di bordo lato sud, in carreggiata est, posta a sostegno dell’impalcato del viadotto».
Le difese, pur articolandosi nel dettaglio di ciascuna posizione, avevano comunque evidenziato come in capo ai vertici Anas ci fosse l’obbligo di effettuare la vigilanza sulle opere e non di disporne la manutenzione, passaggio per il quale occorre la disponibilità di risorse che non è nella disponibilità degli interessati stanziare e che di certo non esiste per effettuare tutte le opere necessarie a livello nazionale. Avevano inoltre rappresentato (anche per il secondo capo di imputazione) come per verificare le condizioni di alcune strutture si rendessero necessarie prove «distruttive», ossia con la perforazione delle strutture stesse, cosa che, a prescindere dal risultato, avrebbe comunque poi comportato la chiusura della strada e la demolizione delle opere.
Argomentazioni che hanno evidentemente convinto il Gup e che avevano convinto già anche il Pm che nell’udienza dello scorso luglio si era espresso per l’assoluzione poi dichiarata ieri.