Nel 1996 avevo 16 anni. Il pensiero meridiano non mi ha cambiato. Mi ha formato. Mi ha spiegato chi ero. E ora, mentre scrivo, non ho neppure bisogno di andare a recuperarlo: ricordo ancora tutto a memoria. Questa idea che se eri di Bari, non eri che una copia sbiadita di Bologna, Roma, Milano. E a Milano, di Londra. A Londra, di New York. No, non eravamo la periferia dell’impero o uno stadio ancora imperfetto dello sviluppo. Eravamo soggetto, e non solo oggetto di pensiero. Eravamo il sud. In cui la lentezza non è una minore velocità, è un’altra velocità: più larga, è la velocità di tutti. Perché ogni scorciatoia, in realtà allunga il cammino.
Venticinque anni dopo, sono una corrispondente di guerra. E vivo nei sud del mondo - perché c’è sempre un sud ancora più a sud. E io sto lì. E appena arrivo, anche se non uso mai il verbo «arrivare», mi fermo, per poi ripartire - appena mi fermo, compro una mappa... Alle Maldive, l’Italia è sotto, invece che sopra, mentre in India non c’è proprio, e ti senti chiedere: Roma? E cos’è? Nelle Filippine segnano la direzione dei tifoni, invece che i punti cardinali, in Cile i terremoti. E in Iraq, poi, non trovi nessuna mappa. E che senso avrebbe, per gli arabi? Sei lo straniero, sei l’ospite: non sarai mai solo.
Venticinque anni dopo mi fermo, e mi sposto dal centro. Mi sposto da me. Perché se sei di Bari, se vieni da questo mare tra le terre, in cui la risacca lascia su ogni sponda il segno dell’altro, lo sai: il confine non è il luogo in cui il mondo finisce, ma quello in cui i diversi si toccano. E la partita con l’altro diventa difficile e vera. E così, venticinque anni dopo ho casa a Ramallah. E scrivo per «Yedioth Ahronoth», il principale quotidiano israeliano. Di là dal Muro. E però, non scrivo di israeliani e palestinesi, un pezzo per uno, non scrivo degli uni e degli altri, come vorrebbero le regole: scrivo agli uni degli altri. Perché possano spostarsi da se stessi. Perché per demolire il fondamentalismo altrui, bisogna cominciare dal proprio. Non è facile. Ma zigzagare, no?, è un altro modo per andare dritti. Non significa perdersi. Ma non perdersi niente.