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Mishima, una vita ribelle tra letteratura, bellezza e patriottismo

Mishima, una vita ribelle tra letteratura, bellezza e patriottismo

 
Michele De Feudis

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Michele De Feudis

Mishima, una vita ribelle tra letteratura, bellezza e patriottismo

Saggi e inediti dello scrittore giapponese a 50 anni dalla morte

Giovedì 26 Novembre 2020, 11:48

Gioventù, bellezza e morte: questi sono i temi che caratterizzano gli scritti di Mishima»: la sintesi è di Henry Miller, scrittore anticonformista, ammiratore dell’artista giapponese, scomparso il 25 novembre del 1970. Si suicidò con una liturgia che richiamava il Giappone arcaico, con il rito del Seppuku, dopo aver inscenato una sorta di colpo di stato nel ministero della Difesa.

La sua morte fu accolta dai media italiani come un atto estremo, incompreso: da qui fu catalogato come un autore nazionalista e divenne una icona dei giovani di destra. Solo Alberto Moravia provò ad approcciarsi senza pregiudizi alla sua arte integrale. L’autore de Gli indifferenti, incontrò Mishima a Tokyo, nel 1969. La conversazione divenne l’introduzione della raccolta dell’autore nipponico Morte di mezza estate e altri racconti (Longanesi). Dialogarono su molti temi: «“È stato in America?”. “Sì. Preferisco l'Europa”. “Vero che lei ha tradotto dal francese ‘Il martirio di San Sebastiano di Gabriele d'Annunzio'?”. “Sì, è vero. D'Annunzio era un grande scrittore”. “Lei ha ricevuto un'educazione tradizionale, non è così?”. “Sì, sono stato allevato alla maniera dei samurai”. “Le piace il Giappone moderno?”. “Mi piace il Giappone tradizionale. Non sono uno scrittore rivoluzionario, di avanguardia. Sono quello che sono”».

Mishima ha una produzione sterminata tra romanzi, poesie, teatro e cinema. Aveva una visione organica dell’esistenza: «Un giorno decisi di incominciare a coltivare alacremente il mio orto. Usai sole e acciaio. I raggi impeccabili del sole, uniti all’acciaio dell’aratro e della zappa, furono gli elementi principali della mia coltivazione» (Sole e Acciaio, Tea). Amava i costumi occidentali, ammirava la fisicità della cultura classica greca, rimpiangeva la rigida disciplina che forgiava i samurai, e non si riconosceva nel Giappone sconfitto dalla seconda guerra mondiale e umiliato dalla ferocia di Hiroshima.
Era come una “rockstar”: rivendicava il diritto di un intellettuale di andare contro lo spirito del tempo.

A cinquant’anni dalla morte i suoi romanzi sono editi in Italia da Feltrinelli e Se: imperdibile la rilettura de Le confessioni di una maschera, ma soprattutto Il padiglione d’oro, ambientato nel l’incantevole complesso monastico di Kinkaku-ji, a Kyoto. Nelle ultime settimane sono stati pubblicati in Italia i saggi «Mishima martire della bellezza» di Alex Pietrogiacomi (Alcatraz, pp. 160, euro 12); «Yukio Mishima. Enigma in cinque atti» dello storico Danilo Breschi (Luni, pp. 258, euro 20). Più eretica l’interpretazione del libro Mishima, acciaio sole ed estetica (Il Cinabro) di Riccardo Rosati. Idrovalente ha pubblicato invece una raccolta di saggi inediti, La difesa della cultura.

Mishima, per difendere le sue idee non conosceva la concezione della paura. Il 13 maggio 1969, come un autentico titano letterario sfidò la giungla accademica, confrontandosi in una assemblea (di cui è stato ritrovato il video) con oltre mille studenti del movimento studentesco di sinistra, al fine di riconnetterli con l’anima della propria nazione.
Il più occidentale degli autori giapponesi è stata un «esteta armato», come Berto Ricci, Gabriele d’Annunzio, Eduard Limonov. «Fu - scrive ancora Miller - un patriota nel senso più autentico del termine. Amava la sua terra al punto da essere pronto a sacrificare ogni cosa per salvarla». Quale intellettuale di grido del nostro Occidente avrebbero lo stesso slancio nel difendere la propria visione del mondo?

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