Andrei Gulekov insegnava filosofia a scuola, vicino Mosca, con uno stipendio molto basso, come quello dei suoi colleghi universitari russi, e con un controllo di stato sui programmi, a cui mai si era abituato. Gulekov ora vive a Yerevan e fa parte di quell’ondata della nuova diaspora russa del ceto medio e della buona borghesia intellettuale che, per il dissenso o per le minacce, fugge nella vicina Armenia.
È una diaspora ben diversa rispetto a quella dei magnati, che comprano i passaporti di luoghi più felici, rivolgendosi a una ricca compravendita che è in Svizzera (e non solo). Non c’è soltanto l’Armenia fra i Paesi prediletti per la fuga e, in questi giorni, il Washington Post ha scritto che l’enorme deflusso di quest’anno ha ampliato le comunità di espatriati russi esistenti in tutto il mondo e ne ha create di nuove. Alcuni sono fuggiti nelle vicinanze, in paesi come l’Armenia appunto e il Kazakistan; altri sono fuggiti in Finlandia, negli Stati baltici o altrove in Europa. Altri ancora si sono avventurati più lontano, negli Emirati Arabi Uniti, in Israele, in Thailandia o Argentina. Si è anche sparsa la notizia di uomini provenienti dall’estremo oriente della Russia, i quali hanno navigato su una piccola barca per l’Alaska. Un capitolo a parte dovrebbe essere poi riservato alle testimonianze provenienti dalla Siberia. Gulekov, al momento, fa ripetizioni a domicilio e ricorda anche la posizione geopolitica precaria dell’Armenia, dove, sempre più, fra le pieghe della popolazione,
Putin è diventato sgradito, anche se da quelle parti gioca a fare il pacifista. I quindicimila soldati russi, però, legittimati dal governo armeno e presenti nell’area, hanno tenuto il Paese a lungo in silenzio e, al tempo stesso, sul filo del rasoio. La recente guerra del Nagorno-Karabakh tra Armenia e Azerbaijan, la presenza e l’influenza della Russia in Armenia, così come il sostegno dell’Ucraina all’Azerbaijan, condizionano gli armeni – anche i non simpatizzanti verso il Cremlino - da circa un anno. Tuttavia, come ricorda Gulekov, in risposta a una giornalista di Le Monde, la quale aveva detto «come si fa a lasciare un paese in guerra per un altro sull’orlo della guerra?», lui risponde che a Yerevan ha trovato una vita più serena, la possibilità di scrivere le proprie idee sui giornaletti locali, ma soprattutto ha la possibilità di informarsi e far trapelare notizie attraverso i canali internet, senza dover temere per l’incolumità sua o dei suoi figli.
È bene però aggiungere che l’Armenia non è l’eldorado, anche se tale appare ai tantissimi russi approdati in quelle zone, soprattutto poco prima dell’arrivo del «Generale inverno». La dipendenza armena nei confronti della Russia – è utile tenerlo a mente - consiste soprattutto nell’adesione fondamentale all’Unione economica eurasiatica a guida russa e all’Organizzazione del Trattato per la sicurezza collettiva: cioè i due principali accordi economici e di sicurezza siglati dal Paese.
La storica russa Tamara Eidelman, fuggita in Portogallo, ricorda che questa nuova diaspora è colpa di Putin e sta causando un’ulteriore perdita demografica (oltre che di competenze) a un Paese sempre più vecchio e con un alto tasso di spopolamento nelle sue vaste aree. «Dove porterà questo spopolamento se non ai piedi della Cina», come precisa il professor Gulekov? Non è difficile, però, capire che i russi, dalle parti dell’Armenia, perlomeno, hanno evitato lo stigma avvertito in Europa, dove un giorno, a Roma, un bambino ha detto a sua madre: «Non dire alla maestra che tu sei russa».
È dunque evidente che c’è molto da riflettere su questa nuova ondata di diaspora, di cui qui diamo solo un primo resoconto, sperando in ulteriori approfondimenti. Intanto questo fenomeno migratorio (e della sorte di chi sta scappando dal Paese per continuare a potersi esprimere attraverso la propria arte) sta per essere mappato dal progetto Mapping Diaspora, promosso dal Centro Studi sulle Arti della Russia dell’Università Ca’ Foscari Venezia.
A coordinarlo c’è la professoressa Silvia Burini, con la collaborazione di Olga Shishko, già direttrice del Museo Pushkin per la parte contemporanea, scappata dalla sua Russia alla volta di Venezia, accolta come scholar visiting e in attesa di un visto di protezione speciale. A questo scenario, Gulekov, ricordando suo fratello, in prima linea nei combattimenti, si interroga e cita Hegel: «È la domenica della vita, che tutto eguaglia e tutto scarta; uomini di buona indole come possono trasformarsi in malvagi?».