Santo Spirito, oggi frazione di Bari, dopo essere stata sobborgo marinaro di Bitonto e parte del suo territorio, come testimonia il torrazzo detto «Titolo» che lo separa dalla frazione di Bari detta Palese, visse un giorno particolare, un suo momento di fragore storico, assunse la monumentale, se pur caduca, visibilità durante la prima guerra mondiale. Andò che, in una scorreria adriatica nei primi mesi di guerra, una cannoniera della Marina austroungarica aveva sparacchiato contro il pacifico borgo marinaro, terrorizzando pescatori, vecchiette, donne alla fontanella e due «pelose» in amore sulla battigia. L’invasione austroungarica fu rinviata «a mai». Ma altre invasioni, molti anni dopo, si avventarono sul villaggio.
Santo Spirito, incipiente inverno 2024. Passeggio per il vecchio tracciato della ferrovia che collegava il villaggio a Bitonto e mi abbandono a riflettere. Un tempo quel trenino giallo e blu, lo chiamavano «tram», era l’ideale per portare la gente al mare. Il mare che è lì, terso, nitido d’un celeste pallido ineguagliabile. E pensare che qualche incosciente pensa che qui si possa cementificare tutto con un porticciolo turistico o con orribili superfetazioni edilizie. Guardando lo sterminato fulgore del panorama penso che ci sono posti belli per vivere se sei un uomo o una donna e ci sono dei posti belli per vivere se sei un’automobile. E sono i più numerosi, ormai, questi ultimi. Ogni anno vengono espugnati dalle automobili troppi luoghi umani, le ultime ridotte dei pedoni, gli ultimi fortilizi della passeggiata, le residue oasi dell’aria sgombra dalle puzze dei motori. E, finalmente, scacciati gli uomini, le automobili se la spassano e trascorrono delle vacanze bellissime, incontrano amici e parenti, sgasano a perdifiato (fiato nostro) e tornano nelle loro abituali città rinfrancate e pronte ad avvelenare con rinnovati entusiasmi e vigore i cittadini rassegnati.
Arroccati in pochissimi baluardi pedonali uomini e donne antiquati come me, dopo aver abbandonato in garage la pur irrinunciabile vettura usata per lo stretto indispensabile, si guardano intorno spauriti e sospettosi. I mutanti intorno scorrazzano sempre più protervi e maleducati e praticano il passatempo preferito del parcheggio sul marciapiede e il virtuosismo di quello a spina di pesce sin dentro il caffè o la boutique del centro storico delle antiche città. Queste specialità non sono divertenti altrove, evidentemente. I mutanti trovano irresistibile la tentazione di spadroneggiare nei borghi antichi, nelle città d’arte, nei luoghi ameni. Farlo in luoghi neutri, in un circuito automobilistico non è divertente.
Fateci caso, il mutante «Uomobile» si riconosce anche dopo che è sceso dalla protesi con le ruote, spadroneggia anche a piedi. Non potete sbagliare, se ha parcheggiato in doppia fila per andare al ristorante, vi entrerà parlando a voce alta e terrà una fitta conversazione ricca di spunti calcistici e di aneddoti sotto la cintola, quando mangerà la minestra farà rumore come se cantasse da stonato, fumerà addosso ai vicini, telefonerà col cellulare undici volte, poi radunerà i figli fischiando, e, quando finalmente uscirà, suonerà il clacson con vigore per richiamare l’attenzione di uno, più cafone di lui, che ha parcheggiato dietro la sua monovolume con rostri per i bufali e terrà un comizio sulla scadente qualità della vita «oggi come oggi».
Questo tanghero è il risultato di una mutazione moderna: il connubio tra cittadino e automobile, un connubio stretto e perverso che trasforma il primo in un automa orribile dotato di una straordinaria coordinazione scimmiesca degli arti che lo rende abilissimo a guidare, ma incapace, ormai, anche di fare ciao con la manina. I mutanti ogni tanto si ricordano l’origine di carne e sangue e decidono di dedicarsi alle cure del corpo, di fare moto o di respirare aria pura. E qui si mette in atto la loro bizzarria: salgono sui loro fuoristrada mostruosi da combattimento nel deserto, macinano chilometri e chilometri, raggiungono, con la tribù, la spiaggia deserta più vicina (ce ne sono sempre di meno, ma la colpa è sempre degli altri per il nostro «uomobile»), fanno una passeggiata di cinque minuti a passo di corsa, divorano uno spuntino ciclopico, devono una cassa di Peroncini, lasciano tutti i resti sulla spiaggia e tornano a casa in tempo per la partita in tivvù. Variante montanara: raggiungono in auto, naturalmente, il prato a duemila metri, fanno una passeggiata di trecento metri pestando merda avvelenata di mucca, poi conquistano il rifugio, ne saccheggiano il bar e tornano in garage: gongolando per centocinquanta chilometri.
Santo Spirito è un posto bello assai per vivere se sei un essere umano, non se sei un’automobile. Può tornare ad essere un paradiso se chi ci verrà possiederà l’automobile e non se l’automobile possiederà chi ci verrà. E se l’amministrazione comunale farà bene il suo lavoro invece di scopiazzare la Costa Azzurra e dirigere un immenso garage. Restituiteci il Tram.