La raccolta a fattor Comune della mafia in terra salentina, proprio come l’operazione algebrica, mira ad applicare la proprietà distributiva degli utili, moltiplicando la sua capacità d’espansione. Con rigore e precisione, come in matematica. Ma, un tanto fuor di metafora, con la C maiuscola di Comune in senso di casa di tutti i cittadini. È lì l’affare, il terreno fertile da infiltrare per far crescere consenso sociale e controllo del territorio. I commissariamenti per mafia delle pubbliche amministrazioni rappresentano l’epifania più attuale e ricorrente dell’evoluzione algebrica della mala.
La riorganizzazione del tessuto mafioso nell’ultimo ventennio, dopo la stagione stragista, conferma un’evoluzione del modus operandi accorto a non fare rumore con azioni armate plateali, meno esplicito e più penetrante, forte dell’azione di intermediari e sodali di altissimo livello che siedono nei Palazzi o nei cda delle aziende e di interlocutori arrendevoli. I clan attivi sul territorio operano separatamente e in regime di pax mafiosa, sia per quanto concerne i rapporti tra le diverse famiglie egemoni, che tra la Scu propriamente intesa e le organizzazioni attive nelle altre province della Puglia.
La zona grigia nel mezzo è un universo magmatico e dai contorni di difficile definizione, in cui si muovono imprenditoria e pubblica amministrazione permeabili alla mafia se non addirittura loro diretta espressione e braccio operativo.
Lo dimostra l’impennata degli scioglimenti di consigli comunali nell’ultimo triennio. Se la Puglia occupa il quarto posto (dopo Sicilia, Calabria e Campania) nella classifica, la sola provincia di Lecce conta sei casi acclarati e uno a rischio-stop, dal 2017 ai giorni recenti.
Perno dell’ingranaggio che muove le ricorrenti infiltrazioni, è la triangolazione - la matematica insegna ancora una volta - imprenditore-criminale-politico: il primo vuole aggiudicarsi gli appalti, il secondo il controllo del territorio tramite il primo che dà garanzia, il terzo ha bisogno degli altri due per conquistare consensi prima e fidelizzare una certa parte d’elettorato poi. Figure, anzi ruoli, molto fluidi e fungibili che si separano in maniera netta solo davanti all’azione plateale dello Stato.
«Uno degli scogli più grandi quando effettuiamo l’attività con le commissioni di accesso alle pubbliche amministrazioni - spiega Carla Durante, capo sezione della Dia di Lecce - sono le resistenze degli amministratori che dovrebbero essere collaborativi. Invece fatichiamo. È a quel punto che la criminalità organizzata sta ferma, evita qualunque mossa, si prendono le distanze da una parte e dall’altra e svaniscono le forme di collaborazione fra i diversi attori, al fine di dimostrare ciò che non è».
Di fatto, quando le commissioni interforze d’indagine prefettizie bussano alle porte dei comuni in odor di mafia, il quadro è pressoché completo, fatti salvi i riscontri da cercare negli atti, nelle delibere, per poi arrivare al decreto di scioglimento a firma del presidente della Repubblica.
Le anomalie ricorrenti, analizzando i casi di casa nostra «sono nell’assegnazione di alloggi popolari con procedure opache - sottolinea Durante - affidamenti diretti che sfuggono alla pubblicità di un appalto perché hanno importi più contenuti, parcheggi, gestione dei rifiuti come settore dalle molteplici sfaccettature, e quindi guadagno tra raccolta, stoccaggio, smaltimento e riciclo. Una ditta che si occupa di rifiuti può assumere persone senza profilo specifico e l’assunzione è merce di scambio e consenso» per i tre lati del triangolo di cui sopra.
Si aggiunga che talvolta «chi è deputato al controllo non controlla e il gioco è fatto».
La longa manus degli amministratori sensibili alle lusinghe della mafia si proietta talvolta anche su funzionari compiacenti, tessendo un reticolato dalle maglie fitte in cui è difficile districarsi.
Per tornare al poco brillante risultato della provincia di Lecce, anche qui viene in aiuto la scienza esatta: l’area leccese del Salento non è solo terra bella ma anche molto ricca, e dove c’è ricchezza la criminalità affonda radici.
A fare soldati nelle file della mafia sono cultura mafiosa e consenso sociale, uno dei rischi maggiori nella lotta ingaggiata dallo Stato.
Tutto sembra bello e calmo in apparenza e contrasta con la realtà conosciuta più dagli addetti ai lavori e dai cittadini informati. In molti non percepiscono la presenza della mafia perché non vedono morti ammazzati per strada, bombe, attività imprenditoriali incendiate.
«In realtà l’infiltrazione nel tessuto amministrativo è più incisiva, colpisce la collettività non il singolo e gli effetti si protraggono nel tempo. Una amministrazione infiltrata farà atti illeciti a vantaggio della criminalità e svantaggio della cittadinanza e quegli interventi avranno ricadute nel tempo su diversi settori dell’economia e del tessuto sociale», la disanima di Carla Durante.
Presentarsi come l’alternativa allo Stato, pronta a rispondere alle esigenze immediate del cittadino, ha rafforzato la capacità d’azione della mafia. «Quando incontriamo il cittadino comune - confessa la capo sezione - vediamo gente brava, perbene, ma poi occorre capire se dietro quel consenso apparente verso di noi non vi sia un voltafaccia. Nella mentalità della maggioranza delle persone un cambiamento c’è, per carità, ma non possiamo accontentarci della maggioranza, dobbiamo puntare alla totalità. Se gli anziani vanno scrostati da una mentalità vecchia, le nuove generazioni sono quelle che partono da zero e su cui dobbiamo investire di più. Un tempo di mafia non parlava nessuno, non si poteva nemmeno nominare quella parola. Oggi se ne parla, si fanno progetti, e questa è un’arma di valore immenso».
I carabinieri davanti al municipio di Sogliano Cavour, uno dei Comuni sciolti per mafia
Assegnazione delle case popolari, gestione dei parcheggi e appalti pubblici sono il terreno di conquista della Sacra corona unita
Domenica 06 Marzo 2022, 13:22