LECCE - «Mi sono tagliata usando la lametta del temperamatite perché in classe non mi vogliono. Simona (sono tutti nomi di fantasia) mi ha spiegato come fare. Mi ha detto che se mi fossi tagliata avrei fatto parte del gruppo, poiché lei e tutte le sue amiche avevano un segno ed erano tagliate. Ha preso la lametta dal mio temperamatite. Me l’ha data. Ed io mi sono tagliata».
Maria ha 12 anni ed è stata chiamata a raccontare il perché dei tagli riscontrati sul suo braccio, così come in quello di altri, troppi compagni di scuola. È la nuova deriva dell’autolesionismo adolescenziale. Dilagante.
La storia. Una storia di vuoto. Una storia di disagio. Maglioni troppo lunghi che coprono le mani anche quando non fa freddo. Strani tagli che vi fanno capolino. Ferite sulle braccia e sulle gambe più o meno estese e visibili, diverse da soggetto a soggetto. Finché qualcuno non ha rotto il muro di gomma del silenzio facendosi sfuggire particolari che hanno subito messo in guardia le insegnanti. È partito tutto da loro. Insegnanti e dirigenti scolastici attenti che non hanno messo la testa sotto la sabbia ed hanno chiesto aiuto al Tribunale per i Minorenni per questo atteggiamento diffuso e preoccupante di autolesionismo. Dieci i ragazzi tra i dodici ed i tredici anni che a vario titolo facevano parte del gruppo dei cutter, almeno di quelli accertati. Raccontano di essersi tagliati, anche più volte durante la stessa giornata, con temperamatite, compassi, in un caso con una penna stilografica. Ferite che in alcuni casi hanno portato anche al gonfiore dell’arto. Celeste ha iniziato a tagliarsi tre anni fa, in concomitanza con la morte del padre. Ha sempre fatto in modo che nessuno se ne accorgesse. «All’inizio utilizzavo un coltellino da cucina, poi ho iniziato ad usare le lame del temperamatite». Una compagna poco dopo Natale in classe le chiede la lametta. Gliela dà. Vuole provare a tagliarsi e chiede ad un’altra amica di andare in bagno con lei per aiutarla. Anna invece è presa in giro dai compagni, continuano ad offenderla ed a farle dispetti, racconta. «Nonostante le offese continuo a frequentarli nella speranza che smettano». Non ne può più. «Per questo motivo durante le vacanze di Natale, nella mia camera da letto, non sapendo come altro sfogarmi, decido di farmi alcuni taglietti sull’avambraccio sinistro», con la lametta del temperamatite.
Sente il bruciore, piange, corre dalla madre e si fa disinfettare.
Dopo si scatta una foto dei tagli e la invia ad un’amica spiegandone le motivazioni. La sera raggiunge la comitiva e gli amici notano i tagli, ma non dicono nulla. In privato le mandano messaggi per chiederne le motivazioni e condividere le proprie. Le ferite diventano il collante della relazione. Della insana relazione. Un patto di sangue che garantisce l’inclusione. In un’occasione sarebbe anche intervenuta un’ambulanza, un ragazzo si sarebbe procurato dei tagli più profondi. Clementina racconta di aver osservato numerosi tagli sulla sua nuova amica Stefania: «incuriosita le chiedo come se li sia procurati. Mi ha risposto che se li è procurati con la lametta del temperamatite: così fa il suo fidanzato. Senza spiegarmi il perché»; anche altre amiche le mostrano i tagli che si sono procurate. «Stefania mi dice che continua a tagliarsi perché dopo il taglio si sente più rilassata». Il sangue esce. Brucia la pelle. Ma dopo arriva la tranquillità. «Per farla smettere - prosegue Clementina - mi sono procurata dei tagli sul dorso della mano sinistra utilizzando una penna stilografica». Invano.
Anna racconta che durante una festa di compleanno i fidanzati Gaia e Maurizio litigano di continuo ed «entrambi, come reazione, alla presenza di tutti gli invitati, si fanno dei tagli con le lame di due temperamatite». Gaia custodisce le lame nella cover del suo telefonino. Uno strumento sempre a sua disposizione. Gaia e Maurizio in un’occasione si sarebbero anche sfidati a chi si procurava più tagli dell’altro. Alternativamente si tagliavano, il vincitore sarebbe stato quello che si fermava per ultimo, procurandosene di più. Un gioco, dicevano. Un gioco al massacro. Manuela avrebbe raccontato a sua madre che Gaia come atto dimostrativo nei confronti del fidanzatino avrebbe avuto intenzione di tagliarsi la gola, che avrebbe potuto anche uccidersi. Racconta che nella villa del paese Gaia si è tagliata alla presenza di altri ragazzi. Posta le foto su Tik Tok. Ma lo spirito emulativo può rendere il cutting contagioso come un virus.
Martina racconta di averlo fatto solo per curiosità: «ne avevo già sentito parlare a scuola. Non l’ho fatto per ragioni di sofferenza. Ho usato un compasso».
Fanno tutti parte di una comitiva, molti di loro condividono foto delle ferite su WhatsApp e Tik Tok. In una di queste avrebbero ritratto braccia insanguinate ed una lametta tra i denti. Come fossero ferite di guerra da esibire.
Il Tribunale per i Minorenni allertato dalla scuola li ha ascoltati come persone informate sui fatti. Per tre di loro sono scattate ulteriori indagini. Avrebbero istigato altri compagni per varie ragioni a tagliarsi. Hanno tutti meno di 14 anni si è dichiarato il non luogo a procedere, non sono imputabili. Il faldone con le dichiarazioni dei ragazzi ora è nell’archivio del Tribunale. Questa indagine è chiusa. Ma ora si apre il duro lavoro di recupero. Il campanello di allerta rossa è stato acceso. I ragazzi devono essere ascoltati, devono essere guardati. Il taglio rivela profonda sofferenza ed incapacità di gestirla. La lama diventa il veicolo per avere controllo sulle emozioni. Voragini che urlano di essere colmate. Vuoto di relazioni, d’affetto, di gratificazioni, vuoto di senso. I vuoti devono essere colmati. Sempre. E se non c’è altro li si riempie volontariamente di dolore. Di lacrime. Di sangue.