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Ugento, nella discarica Burgesi nessuna presenza di rifiuti tossici

 
Pierangelo Tempesta

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Pierangelo Tempesta

Ugento, nella discarica Burgesi nessuna presenza di rifiuti tossici

Lo afferma l’Arpa al termine di indagini e analisi durate due anni

Sabato 12 Settembre 2020, 12:06

UGENTO - «Nessun fusto di pcb nella discarica». Le indagini geofisiche eseguite a gennaio - e i cui risultati sono arrivati nei giorni scorsi - allontanano lo spettro della presenza di policlorobifenili (se ne ipotizzava lo stoccaggio di ben 600 fusti) nella discarica dismessa di località Burgesi di Ugento. È stata utilizzata, per la prima volta in una discarica, la tecnica «Electromagnetic induction».

L’indagine, eseguita per conto dell’Arpa dall’Istituto di ricerca sulle acque di Bari e dal Cnr, rientra nel Piano di monitoraggio e controllo finanziato dallo Stato con un milione di euro. Piano predisposto su richiesta del Comune di Ugento dopo le dichiarazioni dell’imprenditore Gianluigi Rosafio, che nel 2016 si è autoaccusato di aver tombato a Burgesi 600 fusti di pcb.
La discarica, gestita da Monteco, è suddivisa in tre lotti, è estesa per 90mila metri quadrati ed è alta tra i 15 e i 19 metri (dei quali 10 fuori dal terreno). Dai suoi pozzi di raccolta vengono estratte circa 70 tonnellate di percolato al mese. L’indagine, che ha riguardato l’intera estensione del sito (benché l’imprenditore pentito avesse dichiarato di aver seppellito i fusti in una specifica area del lotto 3), ha avuto lo scopo da un lato di eseguire una caratterizzazione geofisica del corpo rifiuti, per individuare la presenza di contaminazioni da pcb, e dall’altro di verificare l’integrità della geomembrana posta sul fondo. È stata utilizzata la metodologia elettromagnetica Emi (Electromagnetic induction), considerata l’unico strumento in grado di caratterizzare il corpo discarica senza il condizionamento dei dati che sarebbe derivato dalla presenza della geomembrana di copertura. I tecnici hanno sondato i tre lotti utilizzando elettromagnetometri costituiti da un’unità di controllo integrata connessa alle sonde tramite cavo o Bluetooth. Ciascuna delle tre sonde usate è costituita da due bobine elettromagnetiche da 65 centimetri di diametro e 5 chili di peso, collegate fra loro mediante cavi lunghi 10, 20 e 40 metri, a seconda della profondità da analizzare.

I risultati dell’indagine sono confortanti. «La mancata localizzazione di forti anomalie di bassa conducibilità elettrica all’interno del corpo rifiuti, unitamente alla sua graduale variazione, esclude la presenza di composti organici con contenuto di Pcb», si legge nella relazione del responsabile scientifico Lorenzo De Carlo. Viene esclusa anche la presenza di concentrazioni di fusti metallici o di plastica. L’analisi del basamento calcarenitico sottostante la discarica, infine, ha permesso di verificare l’integrità della geomembrana: «L’assenza di anomalie diffuse sul fondo della discarica - si legge - garantisce la tenuta della geomembrana».

È la prima volta che si utilizza la tecnica Emi in una discarica: «La scelta di tale soluzione in contesti così complessi come quelli di una discarica dismessa si è rivelata innovativa nel panorama scientifico internazionale, come dimostrato dall’assenza di casi studio riportati in letteratura». Il modello elettromagnetico utilizzato è stato ricavato da un codice sviluppato dall’Università di Cagliari.

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