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Coronavirus, anche in Salento ristoranti cinesi semivuoti

 
Daniela Pastore

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Daniela Pastore

Coronavirus, anche in Salento ristoranti cinesi semivuoti

Crollo di presenze. I titolari: «Paura ingiustificata, nessun rischio»

Venerdì 31 Gennaio 2020, 12:12

Ristoranti cinesi semivuoti. È uno degli effetti della psicosi da contagio del coronavirus. Sushi, uramaki e tempure, sino a qualche settimana fa amatissimi dai salentini, hanno perso improvvisamente il loro appeal. La paura di contrarre la «polmonite di Wuhan» si sta infatti diffondendo a macchia d’olio anche nel Tacco d’Italia, portando a modificare comportamenti e usanze, anche in modo del tutto irrazionale. A pagarne le conseguenze sono i titolari dei locali specializzati nella ristorazione cinese, nel capoluogo e in tutta la provincia.
«Siamo passati da una media di 40 coperti a 5, 6 coperti a serata», allarga le braccia Marco Zhou, 24 anni, del ristorante «Shanghai» di Lecce, nei pressi dell’obelisco, uno dei locali storici della cucina orientale nel Salento. In 30 anni di attività, da quando la nonna di Marco («Ho il nome italiano perché sono nato qui», sorride), Xiao Feng Wangi, decise di conquistare i leccesi con wok fumanti di spaghetti di soia, alghe, ed altre prelibatezze orientali, non si era mai registrato un numero così basso di clienti.

«Voglio rassicurare tutti i salentini - spiega Marco - ogni timore è del tutto infondato: prendiamo gli alimenti dall’Italia, e noi dello staff e della cucina siamo qui a Lecce, non abbiamo fatto alcun viaggio in Cina di recente. Dunque di cosa avere paura?».
«Shanghai» non è l’unico locale a registrare la fuga dei clienti. La situazione infatti è simile per tutti i ristoranti cinesi. «Purtroppo c’è un continuo bombardamento di notizie allarmanti che arrivano dalla Cina - dice Peng Shu Yan, del «Sushi Yan fusion» di piazza Mazzini - le persone vedono quelle scene in televisione e pensano che ci siano rischi anche ad andare a mangiare in un ristorante cinese, cosa del tutto falsa. Noi siamo qui, a lavorare, non andiamo nel nostro Paese da tempo».
Del resto, come ha ricordato Silvio Brusaferro, presidente dell’Istituto Superiore di Sanità, il nuovo coronavirus non si diffonde per via alimentare e sono tra l’altro vietate le importazioni di carne cruda o animali vivi dalla Cina. Ma tant’è. La paura del contagio genera credenze irrazionali come il timore di frequentare i ristoranti cinesi.

Ovviamente la psicosi da coronavirus non ha «contagiato» tutti. «Noi crediamo che proprio in questo momento sia un segnale di solidarietà e vicinanza al popolo cinese quello di sostenere le loro attività», dicono Ortensio e Paola, due giovani leccesi che ieri hanno gustato piatti orientali da «Shanghai». «Paura del contagio? Nessuna. Qui non corriamo alcun rischio», ribadiscono.
La situazione del coronavirus è costantemente monitorata dal Ministero della Salute, che è in continuo contatto con l’Oms e pubblica tempestivamente ogni nuovo aggiornamento sul suo portale. Su tutti i voli provenienti dalla Cina vengono effettuati controlli all’arrivo, che comprendono la misurazione della temperatura e la raccolta di informazioni dai cittadini.
Il Ministero ha realizzato un sito dedicato: www.salute.gov.it/nuovocoronavirus e attivato il numero di pubblica utilità 1500.
Numero da contattare ovviamente solo in caso di necessità. Ad aumentare il livello d’allerta è anche il fatto che i sintomi della «polmonite di Wuhan» sono gli stessi delle malattie infettive respiratorie, compresa l’influenza stagionale, causata quest’anno da 4 virus, e che proprio in questi giorni sta raggiungendo il picco. Sintomi come febbre, tosse, mal di gola e raffreddore non devono destare però alcun timore se non si è tornati nelle ultime due settimane dalle zone a rischio.

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