Marcello Veneziani, scrittore e filosofo, autore del saggio Senza eredi (Marsilio), ha commentato così a caldo la dipartita del pontefice argentino: «La morte imprevista di Papa Bergoglio ha spiazzato un po’ tutti. Un mese fa si temeva sulla sua vita, ma da quando era tornato a casa e aveva ricominciato ad avere relazioni, si pensava che il peggio fosse passato, almeno per ora. Non sappiamo ancora nulla del suo decesso, non ci imbarchiamo nella dietrologia, e nemmeno ci azzardiamo a esprimere giudizi sul suo pontificato, che rinviamo ai prossimi giorni». «Per ora - ha proseguito - siamo davanti alla morte di un papa, e l’evento riempie in sé ogni dire. Poi verranno i giudizi, i bilanci e le eredità. Intanto prepariamoci all’alluvione di ipocrisie e di untuosa retorica da cui verremo sommersi».
Veneziani, il pontificato di Francesco è stato definito da alcuni vaticanisti come "rivoluzionario". Condivide questa definizione?
«È stato un progressista con tratti reazionari, per esempio in tema di aborto e omosessuali».
Le etichette in questi casi spesso sono fuorvianti: qualcuno lo incasella tra i progressisti (anche per l'iniziale dialogo con Eugenio Scalfari), altri come lo storico Loris Zanatta, tra i peronisti. È possibile leggere una interpretazione del ruolo di stampo sudamericano con le categorie occidentali?
«È stato un giustizialista ma ecopacifista, con un profilo nel quale emergeva innegabile un’originaria impronta peronista. Certo, ha rappresentato una rottura, anche perché sudamericano».
Come è cambiata negli ultimi 12 anni la Chiesa con il Papa argentino?
«Bergoglio si è mosso su quella linea già tracciata da Giovanni Paolo II: era allineato al mainstream sui temi progressisti e sull’interpretazione filantropica, umanitaria della religione; ma aveva una posizione non conforme all’Occidente euroatlantico sulla guerra in Ucraina e su Gaza».
L'enciclica più dirompente?
«Due hanno inciso più di tutte le altre: Fratelli tutti e dopo Laudato si’».
Il provenire dal Sud del mondo ha dato a Francesco la libertà di avere posizioni "forti" sulla guerra nell'Est Europa e su Gaza. Sulla geopolitica ha disorientato chi lo immaginava allineato al pensiero unico…
«Sui temi della politica internazionale ha assunto una posizione globalista, non occidentalista o tantomeno europeista».
La retorica che in queste ore ha trovato davvero fuori posto?
«Sì, sono insopportabili i fiumi di retorica e di ipocrisia che si abbattono in queste occasioni, titoli e articoli tutti uguali. Non è un buon segno per l’intelligenza e per lo spirito critico».
Aveva un rapporto particolare con il presidente del Consiglio Giorgia Meloni.
«Non aveva ostilità o acrimonia verso la Meloni, a differenza della distanza che mostrava da Donald Trump o da altri leader conservatori. La vedeva donna, cordiale, affabile, con uno spagnolo fluente, e proveniente da una destra sociale, non liberista…».
Quale è l'eredità di questo pontificato?
«Ha lasciato una forte divisione tra conservatori e progressisti, tradizionalisti e pauperisti; ed una Chiesa sempre meno seguita da fedeli e vocazioni. Se questa è la sua eredità meglio cambiare».
La missione del prossimo papa?
«Il prossimo papa dovrà cercare di abbattere i muri e i confini che durante il pontificato di Bergoglio si sono eretti dentro il mondo cattolico. E dovrà occuparsi del risveglio della fede e della riscoperta di Dio prima dei migranti, dell’ecologia e dei temi sociali. Cercando di abbracciare tutti, ma a partire dai cristiani e dai credenti».