«Avevo detto che sarei venuta qui e l’ho fatto, perché era mio dovere esserci». «Avevo promesso al premier che non sarebbe volata una mosca durante il suo intervento ed è stato così: abbiamo dato una grande prova di democrazia». Due battute sintetiche, dopo una mattinata di tensione. Giorgia Meloni si è congedata così dai giornalisti, sottolineando come interpreti il suo ruolo attraverso una propensione al dialogo anche con chi è distante anni luce. Allo stesso modo, Maurizio Landini, segretario generale della Cgil, salutata Giorgia, si è rivolto ai «suoi», al servizio d’ordine che ha garantito ogni passaggio della mattinata, per ringraziarli e godersi la sfida vinta, l’aver offerto il palcoscenico alla leader della destra, declinando la vocazione all’ascolto come precondizione per avere le migliori relazioni tra governo e parti sociali ed «essere protagonisti del cambiamento».
La mattinata era iniziata con qualche protesta. Davanti all’ingresso del Palacongressi c’erano gli striscioni dei balneari con bandiere nere e la scritta «No alle aste» per i lidi. Poco distanti alcuni militanti di sinistra radicale con cappellino dei Carc distribuivano il periodico «Resistenza», mentre Eliano Como, leader della minoranza (rappresenta 24 delegati su quasi mille nella cittadina romagnola) inscenava un presidio tra peluche che evocano la strage di Cutro, bandiere della Palestina e striscioni contro la premier.
Poco prima delle 12 Giorgia è arrivata con tre collaboratori (Mario Sechi, Giovanna Ianniello e Patrizia Scurti), subito accolta da Maurizio Landini, mentre qualche contestatore lanciava dei fischi. All’interno l’attendeva una sala elettrica, con in corso l’intervento di un delegato mauriziano della Fiom di Reggio Emilia. Prima di salire sul palco Landini ha riepilogato le ragioni dell’invito, davanti ad una sala in rigoroso silenzio: «Il presidente del Consiglio ha accettato di discutere con noi: è un riconoscimento per quello che siamo. Siamo, come dice la Meloni in una situazione straordinaria che nessuno prima di noi ha vissuto. Il mondo del lavoro deve poter discutere e negoziare per trovare le soluzioni di cui ha bisogno». L’invito a salire sul palco rivolto alla premier ha scatenato la protesta dei delegati capeggiati dalla Como (con jeans, peluche e catenella tendenza «rash»), che in venti sono usciti dalla sala tra pugni chiusi e il coro «Bella ciao».
Giorgia ha iniziato il discorso ringraziando la platea e anche i contestatori, con una battuta pungente rivolta alla Como: «Non pensavo che la Ferragni fosse una metalmeccanica». Il riferimento era alla stola simile a quella dell’influencer che la sindacalista ha indossato con la scritta «Meloni pensati sgradita dalla Cgil». Poi è entrata subito nel merito, replicando punto su punto alla relazione di Landini: «Sono qui per rispetto verso la Cgil, la più antica organizzazione del lavoro della nazione». E ha inquadrato l’evento storico, «un premier al vostro congresso dopo 27 anni», nella giornata del 17 marzo, ovvero nella celebrazione dell’unità nazionale, per costruire «un comune destino che dà un senso alla contrapposizione». C’è stato spazio per la citazione di Argentina Altobelli, militante risorgimentale e madre della Cgil e subito dopo per l’affondo: «Landini dice che non siete un sindacato d’opposizione, ma non c’è un tema su cui siete d’accordo con il governo». Le dissonanze sono state nette: la Meloni rivendica una «finanziaria sociale», con stanziamenti per l’occupazione femminile e la scelta di «puntare alla crescita economica». Due sono i dossier su cui lo scontro è apparso frontale: sulla riforma fiscale «bocciata frettolosamente da alcuni», il premier ha tirato dritto, elogiandone la semplificazione e il nuovo rapporto con il contribuente; chiusura netta pure al salario minimo. «Temo - ha chiarito - il rischio che la fissazione per legge del salario finirebbe per fare un favore alle concentrazioni economiche che vogliono rivedere al ribasso» gli stipendi. Poi ha annunciato un impegno per uniformare gli ammortizzatori sociali per i lavoratori dipendenti agli autonomi e agli atipici.
Ha conquista un solo applauso dalla platea «rossa»: quando ha ricordato Marco Biagi, giuslavorista trucidato dalle Brigate rosse, e ha stigmatizzato il ritorno della violenza politica, condannando - in linea con la tradizione legalitaria post-missina - gli estremisti di destra che hanno assaltato la sede romana della Cgil. Forte contrapposizione anche sul reddito di cittadinanza: «Abbiamo stabilito la doverosa abolizione del reddito per chi è in grado di lavorare. Vogliamo offrire la possibilità di uscire da questa condizione, ma con il lavoro. Il RdC ha disincentivato l’offerta di lavoro e favorendo il lavoro irregolare».
Le battute finali sono state sul piano Mattei per l’Africa contro lo sfruttamento coloniale occidentale, la riforma presidenzialista, il patto per la terza età a tutela degli anziani e la lotta alla denatalità. La chiusura: «Con umiltà e senza pregiudizio sono impegnata a rappresentare tutti gli italiani». E l’appello ai delegati: «Rivendicate senza sconti le vostre istanze. Troverete da me ascolto. Senza pregiudizio». Tutto finito? No. Landini e la Meloni si sono trattenuti per oltre mezz’ora in un incontro privato: dopo le scintille e le schermaglie sui palchi, sono state messe le basi per una interlocuzione concreta sui più delicati dossier di industria e lavoro.