In una recente intervista alla «Gazzetta» (6 ottobre) il politologo Beppe Vacca ha lanciato l’idea, poi ripresa ieri anche in un editoriale firmato da Valentina Petrini, di una grande mobilitazione per la Pace animata dal basso, in particolare sollecitando l’impegno del sindaco di Bari, Antonio Decaro.
Antonio Decaro, sindaco di Bari e presidente Anci, l’invito di Vacca la investe del ruolo di capofila di una grande mobilitazione per il cessate il fuoco. Cosa ne pensa? Si assumerebbe quest’onere?
«Bari è città operatrice di pace. Il riconoscimento del professor Vacca rispetto ad un mio ipotetico coinvolgimento nella costruzione di un percorso di pace che attraversi e coinvolga l’Italia mi onora ma credo renda ancora una volta merito alla storia della nostra città e della Puglia, terre di accoglienza e di dialogo. È proprio la città di Bari, grazie anche alla presenza del santo Patrono, ispiratore di valori e ideali, che può essere lo snodo di questa rinnovata iniziativa di pace, non il singolo, anche se rappresentante di un’istituzione».
Il Pd, come evidenziato anche dallo stesso Vacca, non ha parlato molto di pace, ma di fatto ha sposato con Letta la linea «bellicista» della Nato. È d’accordo con questa lettura? Si poteva fare qualcosa di diverso?
«Il Partito democratico si è espresso in tutte le situazioni possibili in favore della pace. Credo sia da escludere totalmente un approccio bellicista del Pd e del Paese. L’Italia è un Paese che ripudia la guerra, come è scritto nella sua carta costituzionale e a questa noi tutti ci rifacciamo, politicamente, ideologicamente e concretamente. L’obiettivo di tutti è la pace, lo è sempre stato, ma l’Ucraina e gli ucraini non possono essere abbandonati a loro stessi».
E tuttavia molti imprenditori, ormai allo stremo, invocano un cambio di passo: d’accordo le questioni di principio, ma sarebbe ora - dicono - di iniziare a riconsiderare le sanzioni e riaprire un dialogo con la Russia. Cosa ne pensa?
«Questa situazione ci deve innanzitutto far riflettere. L’Italia oggi, ancora di più, deve interrogarsi su cosa vuole essere e sulle sue potenzialità. Questo è il momento di decidere se davvero vogliamo diversificare le nostre fonti di approvvigionamento energetico, viste le tante opportunità che abbiamo sul fronte delle energie alternativa o essere condannati alla dipendenza costante. Per me scegliere su questo punto non è un fattore secondario, anche per il mondo dell’impresa. Sull’immediato invece io credo che, così come stava facendo il governo Draghi, si debba lavorare ad accordi con altri Paesi e su altri canali».
D’accordo, ma le sanzioni?
«Purtroppo le sanzioni alla Russia sono l’unico strumento che la comunità internazionale ha per indebolire Mosca nel suo intento di proseguire nella folle aggressione ad uno Stato sovrano. Se solo ci fosse anche solo uno spiraglio su una ipotesi di negoziato allora certamente potrebbe tornare il dialogo mentre oggi, da parte russa, ascoltiamo solo parole che puntano all’escalation del conflitto»
La bolletta che scotta è un tema che investe anche i Comuni, non solo cittadini e imprese. Qual è la situazione?
«Dalle analisi che stiamo portando avanti si evidenzia che i Comuni hanno bisogno per ora, complessivamente, di circa 1 miliardo di euro aggiuntivi, rispetto a quelli già stanziati, per i costi che gravano sull’anno in corso e per i primi mesi del prossimo anno. Al momento però non abbiamo ancora certezza di quanto servirà a ogni singolo Comune a causa delle diversità esistenti nei contratti di approvvigionamento. Quindi questo lavoro potrà essere fatto solo a consuntivo, a partire dalla fine dell’anno, per calcolare gli extra costi reali che incideranno sui bilanci».
Concretamente di cosa c’è bisogno?
«Nella prossima legge di bilancio è necessario prevedere un fondo che consenta di intervenire nelle situazioni più critiche per consentire ai Comuni di pareggiare i conti del 2022 e non andare in default. Oltre a questo chiediamo che ci sia anche la possibilità di poter usare da ora e per tutto il 2023 regole di bilancio che consentano di affrontare la situazione emergenziale, parlo ad esempio di residui del Covid o altri residui di bilancio. Non è possibile far fronte ad una situazione di tale emergenza dal punto di vista dei costi dell’energia affidandoci ancora una volta all’iniziativa, a volte disperata, dei sindaci di accendere le luci un’ora più tardi o di rinunciare alle luminarie di Natale».
Capitolo Partito democratico: il processo di ricostruzione e rilancio è iniziato col piede giusto?
«Credo che la discussione in direzione nazionale sia stata salutare e che il Pd nonostante tutti i suoi difetti sia l’unico partito che permette di discutere apertamente. Questo per me è un valore imprescindibile per una comunità politica. La sconfitta elettorale è stato sicuramente un passaggio importante su cui riflettere, partendo da alcune verità di cui si è discusso anche l’altro giorno. Ora toccherà vedere come arriveremo alla fase congressuale. A questo partito serve un’identità e soprattutto servono parole chiave da dire al Paese, prima che un nuovo segretario».
Resta il fatto che il suo nome continua a «rimbalzare» per la segreteria nazionale. Ci sta pensando?
«Come ho detto più volte, non è il momento del totonomi. La prospettiva del Pd è il futuro del Paese, riguarda le future generazioni e non il futuro dei singoli»
Lei ha affermato che chi è uscito dal Pd non può dire al partito cosa fare. Lo dia lei un consiglio al mondo dem: da dove si riparte?
«Si riparte da due concetti: identità e orgoglio. Come ho avuto modo di dire ieri durante la direzione nazionale del mio partito, si riparte se ristabiliamo le priorità del Paese. La lealtà verso gli elettori e verso il territorio che ti ha eletto deve venire prima rispetto alla fedeltà verso il capocorrente. Questo può accadere soltanto se si torna ad un meccanismo di elezione sulla base delle preferenze. In questo modo gli elettori tornerebbero a riconoscersi nel lavoro dei propri rappresentanti e il partito tornerebbe ad essere quel collettivo di istanze che lo rende espressione dei bisogni del Paese».
E l’orgoglio? Tema sempre complesso dopo una sconfitta.
«Da una rapida analisi degli ultimi anni rispetto ai risultati elettorali sappiamo che 1 elettore su 5 vota partito democratico, nonostante noi, nonostante la legge elettorale, nonostante le tante difficoltà di questi anni. Da qui io penso si possa ripartire, da quell’elettore su cinque che crede nel partito democratico, lo difende e lo sostiene. Noi dobbiamo lavorare affinché quell’elettore sia orgoglioso di votare Partito Democratico e convinca gli altri quattro a fare la stessa cosa».