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Referendum, in ballo il futuro della Giustizia: si vota il 12 giugno

 
Leonardo Petrocelli

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Leonardo Petrocelli

toghe, avvocati

Lo scontro tra Sì e No: parlano Spataro e Della Valle

Giovedì 09 Giugno 2022, 10:00

14:48

La semplicità non è certo la cifra dei quesiti referendari, invero piuttosto criptici, che attendono il cittadino alle urne domenica prossima. Si tratta, tuttavia, di temi «sensibili» e di grande rilevanza per il futuro del sistema giuridico. Ecco dunque, passo per passo, la spiegazione semplificata delle domande contenute nelle cinque schede.

scheda rossa Abrogazione del Testo unico delle disposizioni in materia di incandidabilità e di divieto di ricoprire cariche elettive e di Governo conseguenti a sentenze definitive di condanna per delitti non colposi.

Il quesito chiede l’abrogazione della Legge Severino che vieta la candidatura e prevede ineleggibilità e decadenza automatica per qualunque carica pubblica in caso di condanna, a più di due anni, per corruzione, concussione, collaborazione con realtà terroristiche o criminalità organizzata. Nel caso degli amministratori locali prevede la sospensione per 18 mesi in caso di condanna non definitiva. È quest’ultimo, insieme al tema della retroattività, il punto più controverso, sul quale «batte» il fronte del Sì. Per chi vota No eliminare la Severino vorrebbe dire privarsi di un valido strumento anti-corruzione. Più auspicabile sarebbe un intervento mirato.

scheda arancione Limitazione delle misure cautelari: abrogazione dell’ultimo inciso dell’art. 274, comma 1, lettera c), codice di procedura penale, in materia di misure cautelari e, segnatamente, di esigenze cautelari, nel processo penale.

Il quesito chiede la limitazione dei casi in cui può essere disposta la misura cautelare per rischio di reiterazione di reato. In particolare con riferimento a reati che prevedono pene minori e in caso di finanziamento illecito ai partiti. Se i sostenitori del No evidenziano come la legge già contenga delle limitazioni e un ulteriore intervento rischi di recar danno alla sicurezza pubblica, chi vota Sì punta il dito sull’eccesso di carcerazione preventiva e sulla necessità di una azione di alleggerimento.

SCHEDA GIALLA Separazione delle funzioni dei magistrati. Abrogazione delle norme in materia di ordinamento giudiziario che consentono il passaggio dalle funzioni giudicanti a quelle requirenti e viceversa nella carriera dei magistrati.

Insieme al primo, è forse il quesito più critico. L’obiettivo è interdire ai magistrati la possibilità di cambiare carriera, spostandosi dal ruolo requirente a quello giudicante o viceversa. Attualmente, il passaggio è consentito al massimo per quattro volte con alcune limitazioni particolari, ad esempio il divieto di svolgere le due funzioni all’interno dello stesso distretto. Se fosse approvata la riforma Cartabia, in via di votazione, le possibilità di spostamento si ridurrebbero a una. In caso di vittoria del Sì, invece, l’eventualità sarebbe completamente esclusa. Per i sostenitori di questa opzione la modifica renderebbe il sistema più equilibrato mentre il fronte del No paventa un possibile isolamento dei Pm nonché, il rischio di minare l’omogeneità della cultura giurisdizionale.

scheda grigia Partecipazione dei membri laici a tutte le deliberazioni del Consiglio direttivo della Corte di cassazione e dei consigli giudiziari. Abrogazione di norme in materia di composizione del Consiglio direttivo della Corte di cassazione e dei consigli giudiziari e delle competenze dei membri laici che ne fanno parte.

Il quesito punta ad allargare il potere di voto sulla valutazione dei magistrati anche ad avvocati e professori universitari. Attualmente queste due figure partecipano alla formulazione del giudizio in occasione della valutazione quadriennale ad opera della Corte di Cassazione e dei Consigli giudiziari ma il voto finale è riservato esclusivamente a giudici e pubblici ministeri, cioè ad altri magistrati. Chi sostiene il Sì ritiene più efficace un giudizio allargato ad altre categorie, chi sponsorizza il No giudica inopportuno il voto degli avvocati, pur previsto anche nella riforma Cartabia, su quella che è di fatto la controparte dei giudici nel processo.

SCHEDA VERDE Abrogazione di norme in materia di elezioni dei componenti togati del Consiglio superiore della magistratura.

L’ultimo quesito ha l’obiettivo di «liberalizzare» la candidatura dei magistrati al Consiglio superiore della magistratura, eliminando l’obbligo di raccogliere le firme di almeno 25 magistrati (fino a un massimo di 50) a sostegno del proprio nome. Il fronte del Sì rileva che tale modifica ridurrebbe il potere delle correnti nei giochi elettivi, i sostenitori nel No obiettano che la disposizione non sarebbe risolutiva.

LE RAGIONI DEL Sì

«È il momento per una svolta». Della Valle: occasione d’oro

«Non ho alcun dubbio: voterò cinque sì». Alza la voce Raffaele Della Valle, classe 1939, avvocato di lungo corso (fu protagonista del caso Tortora) e tra i fondatori di Forza Italia. «Tutto, nella vita, è soggetto a usura - argomenta - anche le istituzioni. La Costituzione deve rimanere invariata nei suoi principi fondamentali ma il resto può e deve essere oggetto di modifica».
Raffaele Della Valle, con la riforma Cartabia alle porte, questo referendum è il mezzo migliore per riformare il sistema della giustizia?
«La riforma non è stata ancora votata dal Parlamento, di che parliamo? Abbiamo piuttosto una occasione chiara per affermare alcuni principi e dimostrare di essere un Paese maturo. Sfruttiamola».
Iniziamo dal principio. Perché abrogare la Legge Severino?
«Perché si può anche condividere l’idea che chi è stato condannato non possa assumere dei ruoli pubblici ma la retroattività della norma è un vulnus incredibile rispetto a un principio che deve rimanere fermo. Ma è il linguaggio della norma che ha consentito alla Corte Costituzionale di interpretarla così. Bisogna intervenire».
Secondo nodo, le misure cautelari. Anche qui, perché rimettere mano contraendone l’utilizzo?
«Perché la norma dà troppo spazio alla discrezionalità del magistrato con il rischio di abusi a danno della libertà dell’individuo. Va bene il rischio di fuga o l’inquinamento delle prove, ma se un pubblico ufficiale viene arrestato per corruzione, e dunque pubblicamente squalificato, può davvero reiterare il reato? Io credo di no».
E arriviamo al punto dolente: la separazione delle carriere. È giunto il momento?
«Senza dubbio e non da oggi. La Costituzione non la prevede poiché, al tempo, si era reduci dal fascismo con tutto il carico di paure e timori che possiamo immaginare. Oggi però la situazione è cambiata. Dirò di più: l’indipendenza dell’ufficio del pm non l’abbiamo mai avuta e quindi non rischiamo di perderla. I non più giovanissimi ricorderanno l’appellativo di “porto delle nebbie” per la procura di Roma. La separazione delle carriere garantirà equilibrio con una Procura distante e distinta dal giudice che potrà configurarsi realmente come parte terza».
E come la mettiamo con la possibilità per gli avvocati di giudicare i giudici, cioè la propria controparte nel processo?
«Ma perché si deve aver paura di una minima parte di avvocati e professori universitari chiamati a intervenire, con diritto di voto, nel giudicare un magistrato? È davvero una sparuta minoranza la cui partecipazione pesa però sul piano simbolico perché impedisce che i magistrati si giudichino da soli».
A proposito dei magistrati, l’ultimo quesito: eliminare la raccolta di firme come precondizione per candidarsi al Csm.
«Anche in questo caso si tratta di un’azione di libertà per consentire a un magistrato preparato di candidarsi senza bisogno di accreditarsi presso una corrente. Il caso Palamara ha rivelato tanto ma non era certo lui l’unico e solo a muovere i fili in quel modo. Una ragione in più per andare a votare anche se...»
...anche se?
«Di discussione ce n’è stata davvero poca. Solo in questi ultimi giorni si sta parlando un po’ di più dei temi referendari. Il silenzio fa comodo, evidentemente. Ma non fa il bene del Paese».

LE RAGIONI DEL NO

«Si criminalizza la magistratura». Spataro: iniziativa dannosa

L’ha definita una iniziativa «animata da spinte populiste e nata da ragioni commendevoli», pur difendendo la possibilità per i cittadini «di votare in modo consapevole anche se in presenza di testi incomprensibili». È un giudizio netto quello di Armando Spataro, tarantino, già procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Torino e oggi componente del Comitato per il No al referendum.
Armando Spataro, cosa c’entra il populismo?
«Si lanciano nel dibattito affermazioni prive di fondamento e suggestive, mosse da ansia punitiva nei confronti della magistratura che è di volta in volta accusata di essere politicizzata e manovrata delle correnti, mentre il Csm è descritto come una “cupola” criminale. In realtà quello che bisognerebbe fare è parlare dei problemi specifici ma la vittoria del Sì non ne risolverebbe alcuno».
Parliamone, allora, iniziando dalla Severino e dal nodo della sospensione degli amministratori locali in caso di condanne non definitive. Non crede sia necessario intervenire?
«Non c’è dubbio e infatti in Aula giacciono due ddl del Pd che si propongono di eliminare questa parte critica. Ciò che serve, infatti, è un intervento mirato. Chi usa questo argomento per abrogare l’intera legge, in realtà, nasconde che con la vittoria del Sì condannati e pregiudicati rimarrebbero o potrebbero essere eletti, in spregio al decoro ed all’onore che la Costituzione prevede».
Secondo punto: le misure cautelari. Perché la contrarietà a una «limitazione»?
«Qui si vuole eliminare il rischio di reiterazione della stessa condotta criminale dalle ragioni di emissione di tutte le misure cautelari. Ma quel rischio è proprio il motivo più frequente. Parliamo di un banale ladro, arrestato mentre sta rubando in una abitazione: anche se avesse in tasca l’indicazione del prossimo appartamento da svaligiare il giudice, dopo avere convalidato l’arresto, dovrebbe scarcerarlo. E dalla vittoria del Sì trarrebbero vantaggio anche gli autori di gravi reati come quelli dei “colletti bianchi”».
E veniamo al punto più discusso: perché è contrario alla separazione delle carriere?
«Le rispondo in modo secco: per non minare l’unicità della cultura giurisdizionale. Il pm deve ragionare e pensare come un giudice, questa è una garanzia per i cittadini. Lo stesso Consiglio d’Europa con una raccomandazione del 2000 ha auspicato la “passerella” tra un ruolo e l’altro. Il principio del giusto processo, evocato a sproposito, non è minimamente minacciato da tutto questo a meno che non si dubiti dell’onestà di chi emette sentenze. Una volgare offesa».
Ha definito gli ultimi due quesiti «inutili e bizzarri». Perché?
«Perché il ddl Cartabia in discussione al Senato, ma già approvato dalla Camera, prevede scelte più serie. È giusto che gli avvocati possano votare nei Consigli giudiziari ma è preferibile che lo facciano con voto unanime e conforme all’orientamento espresso dai Consigli forensi per dare al voto stesso maggiore autorevolezza».

E quanto all’abolizione della raccolta firme per la candidatura al Csm?
«Si dice che così potrà candidarsi chiunque, da solo, senza necessità di appoggio delle correnti. Ma, al di là del fatto che io credo nel valore etico e culturale delle correnti purché siano capaci di rigenerarsi ove necessario, è evidente che, anche senza voti di presentatori, le correnti potrebbero sostenere un loro iscritto nella successiva fase del voto. Meglio il sistema misto previsto dal ddl Cartabia».

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