Orto del Paradiso, 257 Comuni collocati su un territorio di 1.936.580 ettari, di cui 1.031,580 di pianura e il resto sono colline, murge e montagne. Da questi dati orografici parte un lavoro enciclopedico in due volumi di oltre mille e trecento pagine, curato per Giacomo Adda editore, da Vittorio Marzi, Renato Morisco e Leonardo Verdini, Prodotti alimentari tipici della Puglia. Feste religiose, fiere, sagre, tradizioni dei Comuni. Con un corredo fotografico impressionante scavato nell’archivio Adda.
L’opera è a dir poco straordinaria, soprattutto perché inquadra la regione in un assetto di ricchezze contadine che con l’avvento dell’industria sembravano destinate a sparire. Invece si resta stupiti nel constatare la meraviglia dei prodotti naturali e lavorati della regione, segno di una ricchezza unica e nascosta e che fa della Puglia un paradiso di campagne, orti, masserie, oliveti, pescheti, ciliegeti, vigneti e di cucina senza eguali. Il lettore troverà infatti una gamma infinita di ricette, dove si sente l’apporto di quello chef impareggiabile che si è rivelato Renato Morisco. Prendiamo ad esempio i lampascioni. Sembra che a dare nome a questi bulbi noti anche come muscari, sia stato il medico greco Oribasio, in base alla sua forma di lampada lo chiamò lampiadonis. Ma già prima di lui Galeno lo aveva benedetto come un prodotto dalle proprietà lassative e diuretiche. In Puglia i lampascioni vengono sbollentati e conservati sott’olio e sotto aceto, oppure fritti in pastella o legati al baccalà. Passando al mandorlo, Marzi individua oltre un centinaio di varietà, dalla mandorla zoccola alla spaccacarnale alla viscarda e alle mandorle tuono, regina e primicerio. Ognuna usata per un diverso fine, dai confetti per matrimoni ai pregevoli confetti con liquore dell’ andriese casa produttrice Mucci e tutte utilizzate per secoli come mezzo insostituibile per la cucina del bianco mangiare e per i dolciumi arabi, siciliani e pugliesi.
Non molto diffuse le varietà di mele, battute dal pero che con una settantina di varietà è forse l’albero da frutto più imbattuto , con varietà di pero zippolungo, taccanzuolo, peraspina, spadone, santa Lucia e san Paolo, san Cosimo e san Francesco, san Pietro e san Giovanni.
Ma sapete che esistono in Puglia oltre cinquanta varietà di pomodori? Utilizzati per sughi, insalate e seccati al sole e conservati sott’olio. E leggermente inferiori per numero i ciliegi, con una trentina di varietà, dalla bigarol alla ferrovia, con centri imbattuti in Turi, Sammichele, Gioia del Colle.
Non avrei mai immaginato che con i pomodori fossero a dividersi il posto per numero di varietà, i peperoni. Più di trenta, dolci e piccanti, dai cornaletti bianchi, rossi, ricci, ai peperoni a corna di capra, a zanna, a corna di toro, a ciliegia, al diavolicchio, al quaglietta e allo scattapignate.
E non ci credereste che insieme alla diffusione dei vitigni, con i primitivi, le malvasie e i negramari che hanno portato la vitivinicoltura pugliese a uno dei primi posti nel mondo, c’è addirittura la zucca con una ventina di varietà.
Tralascio il mondo variegato delle ricette e delle dolciarie, citando al più spumoni trie focacce pitte sospiri taralli frise e fave orecchiette cicorie polpi triglie aragoste e anguille. Perché la cucina pugliese può liberamente pescare nei mari, in pianura e nei monti. Ti spieghi di qui perché sia poi nata in queste terre meridionali la filosofia gastronomica della cucina mediterranea. Che fa nei vegetali, nella frutta e nell’olio il contraltare del grasso e del burro centroeuropeo.
Ma la disamina si fa ricchissima allorché si passa a trattare le bellezze e l’antropologia dei borghi. Siamo in apertura di una settimana, quella di Passione, che vede la Puglia attenta a mettere in campo le sacre rappresentazioni. Si parte dai sepolcri del giovedì santo, un’occasione per molte città di riaprire chiese solitamente chiuse per assenza di personale e si passa alle processioni, dagli Otto santi di Ruvo egregiamente raffigurate dalla pittura di Domenico Cantatore alle straordinarie rappresentazioni dei crociferi di Noicattaro, ai pappamusci di Francavilla Fontana e alla Messa Pazza di Vico del Gargano o alla Desolata di Canosa.
Ma la ricchezza della Puglia, quale emerge da questi volumi è affidata prevalentemente ai prodotti della terra e ai cibi. Lo si vede attraverso le molte sagre che si susseguono nel corso dei giorni.
Citerò la sagra dell’orecchietta a Deliceto, la pizza fritta di Sant’Agata di Puglia, la sagra del maiale a Faeto, quella della capra acqua e sale di Cagnano, le cozze e vongole di Ischitella e le fritturine nei trabucchi. Salterò dal Gargano al Salento, senza dimenticare il polo del pane, tra Altamura, Matera, Ginosa, Santeramo e Laterza e quello del pesce tra Molfetta e Mola di Bari. Nella piana leccese insieme all’odore del mare e al richiamo della pizzica si avvicendano le sagre del vino del marro degli struffoli dei fagioli dell’accio dei peperoni dell’anguria dei ceci dell’agnello e dei formaggi. Basterà segnarsi pagina pagina un calendario, mettersi in macchina e godersi tutto ciò che offre questo orto del Paradiso