Mentre la criminalità mantiene saldo il controllo di uno spicchio importante di territorio, dividendosi le piazze di spaccio e i settori economici di proprio interesse, mentre bande di ladri imperversano a Poggiofranco facendo impunemente razzia di auto o parti di esse, mentre si gira a vuoto anche per ore nel murattiano per trovare un posto auto, mentre gli universitari e i lavoratori fuori sede sono costretti a pagare affitti milanesi per garantirsi un tetto in testa, mentre la zona industriale continua ad essere punteggiata di capannoni deserti ed eterne incompiute, tacendo della viabilità caotica e imperfetta, mentre continua a mancare un centro congressi degno di questo nome con un ricettività all’altezza della domanda e slegata dal monopolio di bed (o bad?) and breakfast….. Mentre, insomma, tutto scorre, partiti e movimenti si accapigliano su chi candidare a sindaco di Bari, come se fosse solo una questione di nomi e non, invece, di progetti, programmi e compagnia di giro.
La buona amministrazione di una città non è il frutto dell’azione di un uomo solo al comando – o di una donna, pur non essendocene, purtroppo, tra le papabili alla fascia tricolore – ma il risultato di un lavoro collettivo, compiuto da assessori, consiglieri comunali, dirigenti e funzionari. Il sindaco è uno solo ma dietro di lui non può esserci il deserto. Invece a Bari, e non solo in verità, la discussione, anzi la lotta politica, verte unicamente su questo o quello, come se bastasse un cognome, per quanto per carità rispettabile e colmo di storia, a garantire il buon governo, un eccesso di personalizzazione della politica del quale non si sentiva affatto il bisogno e che ormai ha contagiato ogni schieramento.
Coltiviamo la speranza che una volta apparecchiate le candidature, con metodi di scelta trasparenti, si discuta finalmente di programmi, di propositi, di idee e che non si dia invece vita alle solite campagne elettorali contrassegnate da slogan e meme, derubricando il dibattito necessario sulla città di Bari – città commerciale, città digitale, città di frontiera, città universitaria – in un campionario di battute logoro, figlio di una stagione finalmente destinata ad andare in archivio.
Il volto di Bari è profondamente cambiato negli ultimi 20 anni, nessuno lo può negare, e i cambiamenti sono quasi sempre avvenuti in meglio. C’è, però, ancora tanto da fare per completare il lavoro fatto finora e soprattutto per aggiungere una prospettiva di sviluppo che al momento appare indefinita. Vanno adottati provvedimenti per migliorare la vivibilità di chi abita a Bari e di chi a Bari studia e ci lavora, occorre tutti insieme fare da argine alle infiltrazioni criminali nella pubblica amministrazione e nelle sue scelte, bisogna creare e rafforzare un tessuto formativo in grado di attrarre le migliaia di giovani che lasciano la nostra terra per andare a laurearsi altrove, è necessario far fare un definitivo salto di qualità alle infrastrutture di collegamento con il resto della regione e della nazione.
Il lavoro non manca di certo, speriamo che dietro i volti e i cognomi dei candidati al post-Decaro ci siano persone disposte a farlo, e che magari non siano solo e soltanto le stesse degli ultimi venti anni, sempre pronte a cambiare padrino politico. Il nuovismo non sempre equivale a buona politica e anzi in tempi andati è servito unicamente a dare un ruolo a chi solitamente nelle riunioni di partito occupava i posti in piedi. Ma la medicina del trasformismo, usata a piene dosi dalle nostre parti, da tempo ha come pesante effetto collaterale quello di aumentare l’astensione, è arrivato il tempo di dire basta alle porte girevoli della politica, se la politica ha ancora qualcosa di nobile.