Restare umani: non è uno slogan, ma un gesto quotidiano di ascolto. È l’idea madre di Stay Human, quarto album di inediti del batterista e compositore barese Michele Perruggini (Abeat Records), disponibile da venerdì 12 dicembre su tutte le principali piattaforme digitali e anche in cd. Il titolo si esplica in un celebre monito in epigrafe di George Orwell, tratto dal romanzo 1984 - «Non è tanto restare vivi, quanto restare umani che è importante» -, e Perruggini lo traduce in una drammaturgia sonora: jazz e punte d’avant-jazz, minimalismo come innesco e poi apertura melodica, sincera, mai compiaciuta.
Batterista nell’anima, Michele compone però direttamente al pianoforte: costruisce le idee in verticale armonica e poi le affida al laboratorio dell’ensemble, lasciando che l’interplay trasformi l’architettura in un racconto che si sviluppa sovente con dolcezza. La formazione di quest’ultima incisione, oltre allo stesso Perruggini alla batteria, comprende musicisti di notevole caratura: Roberto Olzer (pianoforte), Yuri Goloubev (contrabbasso), Riccardo Bertuzzi (chitarre), Guido Bombardieri (sax soprano e clarinetto), Dario Tanghetti (percussioni), con Fausto Beccalossi alla fisarmonica in due tracce. Il compositore arriva a questo quarto capitolo dopo una lunga traiettoria tra progetti diversi e una crescente attenzione alla scrittura. Ed il concept è esplicito e scomodo: restare umani come “invito, sfida e speranza”, in un’epoca in cui social e intelligenza artificiale rischiano di sostituire relazione e facoltà di giudizio. «Mentre gli sviluppi della fisica quantistica e l’entanglement - spiega - ci indicano che siamo fatti di energia, amore infinito e collegati al Tutto, il sistema lavora incessantemente per separarci, nel tentativo di creare una massa confusa, incapace di pensiero critico».
Da qui dodici brani, tutti firmati e arrangiati dallo stesso Perruggini, presentati come un itinerario interiore. Through the Darkest Stars è “un viaggio nell’infinito, stelle, buchi neri e universi paralleli”: l’ostinato iniziale sembra quasi attrazione gravitazionale, poi il gruppo apre spazi di luce. Lost Souls parla di “anime perdute, risvegliate dal torpore, che cercano di ritrovarsi”: non a caso il tema si presenta come una domanda in cerca di risposte. Hypnosis è “uno stato profondo che riporta alla luce ricordi che neppure immaginavamo di avere”: la circolarità musicale rende l’idea del ricordo che riaffiora.
Stay Human, primo singolo, appare come un nucleo centrale: la scrittura, da un inizio dolce e malinconico al pianoforte, procede per accumulo, tra variazioni, crescendo e assoli che non interrompono il senso, ma lo chiariscono. Black Waltz è un “valzer elegante, contaminato dalla forza pulsante della musica nera”: un ternario deviato, ponte fra due mondi, con la batteria che sposta il baricentro degli accenti. Faces guarda al teatro dell’apparire, tra “ipocrisia e falsità, più profili, una vita perfetta che non esiste”, contrappuntata da una linea sinuosa di clarinetto che apre il sipario. Shy Fingers invoca “l’importanza e la sacralità del contatto, il vero legame che abbiamo con il Tutto”: pagina intima e cameristica, dove ogni strumento “tocca” l’altro senza invaderlo.
Lonely mette in riga una verità dura: “Si nasce soli, si vive soli, si muore soli. Nei momenti cruciali della vita bisogna necessariamente attingere solo dalle proprie forze”: rarefazione e silenzi diventano qui materia, in una ritmica ammiccante. Dreamland apre “un mondo in cui tutto scorre, e in cui è bello rifugiarsi”: un sogno inteso come riparo, con melodie che si intrecciano pian piano, fino alla timbrica dominante della fisarmonica. Lith - dall’incedere intimo e commovente - è “diminutivo di Lilith, la prima moglie di Adamo. In lei è racchiusa la ribellione, la trasgressione, la volubilità e il senso di libertà”. Night celebra “il fascino della notte, tra avventura, mistero, ricerca”, tra le penombre armoniche iniziali del pianoforte e il respiro lungo dell’insieme. In Ancient Song Perruggini chiude coralmente il disco, ricordando che “il canto è una delle prime forme espressive. Ogni popolo conserva la ricchezza e l’identità delle proprie tradizioni attraverso canti antichi”.
Per Stay Human è stato anche realizzato un videoclip suggestivo, firmato da Marina Damato, che traduce l’allegoria: Perruggini appare come il folle scespiriano, colui che rivela verità difficili da integrare, ponendosi fuori dal discorso dominante. E invita a restare umani.
















